Una persona su 10 soffre di brutti sogni. Come fare per liberarsene? Con l’Imagery Rehearsal Therapy pare sia diventato semplice: basterebbe descrivere il sogno scrivendone i dettagli su un quaderno.
La nuova tecnica – questa volta non americana, ma australiana – scoperta dal dottor Barry James Krakow sarebbe un utilissimo metodo per liberarsi delle paure notturne.
Ma cosa sono gli incubi? Dal latino “incubare“, giacere sopra, nell’antica Roma un incubo era un demone maschile che giaceva appunto sul dormiente per trasmettere sogni spiacevoli. Da qui il nome slittò al sogno stesso per indicarne il “contenuto pauroso“.
Quello che corrisponderebbe al pavor nocturnus dei bambini: un risveglio improvviso accompagnato da ansia e paura. Come il bambino scoppia a piangere e chiama la mamma, l’adulto che ne soffre si sente soffocare, ha i battiti del cuore accelerati e sente di dover chiedere aiuto a qualcuno.
Ma entrambi, precisa la professoressa Maria Grazia Marciani, ordinario di Neurofisiopatologia all’Università di Roma Tor Vergata, avvengono nella fase di sonno profondo e non nella fase REM, dove prevalentemente si sogna, e dove si hanno veri e propri deliri terrificanti.
Farne ogni tanto uno non ha ripercussioni di alcun tipo. Quando la cosa diventa ricorrente la qualità non solo del sonno ne risente ma anche quella della veglia.
In tal caso si parla in modo più appropriato di parasonnie, cioè di
“un gruppo eterogeneo di disturbi che hanno in comune la caratteristica di non dipendere direttamente da una disfunzione delle strutture che regolano il sonno e la veglia, ma piuttosto dall’attivazione, in connessione con il sonno, di strutture ad esse correlate con conseguente coinvolgimento”,
nelle parole del Dott. Stefano Casali.
Questi sogni terrifici in genere tendono a ripetersi soprattutto se legati a fatti traumatici della giornata.
Ogni sogno, anche quelli brutti, riflettono i nostri stati d’animo riportandoci ad uno stato di coscienza ancestrale. L’incubo può derivare da ansia e depressione e, laddove ripetuto, è bene capirne la causa.
La nuovissima tecnica di ripetizione immaginativa del dott. Krakow è un modo per tentare di condizionare il proprio sonno: infatti la si mette in pratica prima di andare a letto per cercare di liberarsi dal demone ricorrente che ci impedisce di dormire bene.
“È un nuovo approccio psicoterapeutico cognitivo-comportamentale per il trattamento degli incubi e dell’insonnia”.
Dal momento che i sogni fatti in fase REM sono quelli che si ricordano nella loro quasi totalità, è facile per il paziente raccontarseli e riscriverli, ma, nella Imagery Rehearsal Therapy, cambiandone i dettagli: scegliere un finale lieto e direzionare come si vuole il corso del film onirico. Una volta scritto, il sognatore deve rifletterci e ripetere mentalmente il finale per 5-20 minuti al giorno.
Ovviamente più ci si ricorda dell’incubo e più sarà facile modificarne ad hoc i dettagli. I risultati sono stati sorprendenti anche se c’è chi storce il naso perché ritenuti un po’ troppo approssimativi, dal momento che potrebbero togliere il sintomo ma non la causa.
Fatto sta che in ogni caso, conclude la Marciani,
“ripassare mentalmente il nuovo sogno ogni giorno diminuisce gradualmente la frequenza dell’incubo liberando il paziente dalle sensazioni spiacevoli”.
Personalmente credo che il segreto dell’efficacia della tecnica stia nel fatto che scrivere può aiutare a mettere a fuoco cosa ci turba e cosa non ci rende felici, esattamente come le parole scritte possono sprigionare energia tangibile quando si è contenti: non solo vedere nero su bianco cosa ci angoscia è un po’ un modo per allontanarlo da noi, ma nello stesso tempo in cui lo si butta fuori, ci si concentra e si può riflettere su di esso.
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Certo, occorre, forse, un certo grado di autoanalisi per poter capire il perché si reagisce in un certo modo a certe situazioni, e forse è vero che lo scrivere è solo un palliativo per liberarsi delle paure che provocano incubi. Ma è altrettanto vero che scrivere ha da sempre avuto, esattamente come il parlare, un potere taumaturgico.
Vi è mai capitato di avere un chiodo fisso e di liberarvene semplicemente parlandone con un’amica? Ecco, lo stesso capita con lo scrivere: aiuta, di per sé, come le chiacchiere con le amiche, a stare meglio. E ve lo assicura una che scrive e parla parecchio!