La malattia della modernità, “la malattia di chi sta apparentemente bene”, un male insidioso che come un tarlo, in silenzio e tra le pieghe della quotidianità, consuma e corrode la vita, spegnendola un po’ per volta o all’improvviso, svuotandola di senso, mostrandola inutile o troppo faticosa: è la depressione.
Quando a fasi di buio profondo se ne alternano altre di inspiegabile euforia, di frizzante voglia di fare, di slancio propositivo, riconoscere di essere in presenza di una malattia è ancora più complesso. Questa variazione di stati umorali ha un nome preciso: si chiama depressione bipolare.
Difficile la diagnosi e conseguentemente la cura, soprattutto perché il soggetto che ne soffre non riconosce e non ammette di essere malato. Eppure in Italia ad esserne colpite sono tra le 600 e le 900 mila persone.
Secondo il Professor Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano “I bipolari nella fase di “ipomania” sono euforici, creativi, grandi comunicatori, dinamici, grintosi, ma se si arriva alla mania, come accade nei casi più gravi, il coraggio diventa incoscienza, le passioni si accendono. Niente fa più paura: gioco d’azzardo, sesso senza precauzioni, acquisti irresponsabili. Non si avverte più il bisogno di dormire e mangiare. E, mentre calano le capacità cognitive e di concentrazione, ci si sente superiori, padroni del mondo. Chi tenta di porre ostacoli alla realizzazione dei desideri, anche i più folli, viene visto come un nemico da aggredire. E nei casi di mania più gravi si rende addirittura necessario il ricovero“.
Dopo la fase maniacale subentra quella depressiva, che ha in genere una durata molto più lunga: si parla di sei-sette mesi, contro le poche settimane della fase euforica. Durante il periodo depressivo è particolarmente alto il rischio di suicidio, causato da una forte perdita dell’autostima e da una profonda fatica a vivere.
Come chiarisce Eugenio Aguglia, Presidente della Società Italiana di Psichiatria, “Se non è facile arrivare al malato, non è facile neanche arrivare alla diagnosi; possono perfino passare anni dalla comparsa della malattia. La sindrome bipolare, che in genere all’inizio si manifesta con un episodio depressivo, può essere confusa con una depressione tout court. Un errore che costa caro perché, con i classici antidepressivi, usati da soli, i bipolari in fase depressiva reagiscono con il rischio di un nuovo episodio maniacale. Ecco perché è bene prescrivere questi farmaci a dosi basse, per un breve periodo e soprattutto insieme a stabilizzatori dell’umore“.
Mencacci tuttavia ritiene che vi siano dei segnali chiari, dei campanelli d’allarme che possono aiutare ad individuare i casi di depressione bipolare. I più comuni sono: disturbi del sonno, propensione all’irritabilità, all’impulsività, uso di alcol e stupefacenti, stili di vita estremi. Accanto a tutto ciò ha una forte influenza anche la familiarità. Per quanto riguarda la terapia farmacologica Mencacci afferma “l litio funziona bene nella fase ipomaniacale, ma non in quella depressiva. Più indicato l’uso di farmaci stabilizzatori dell’umore, nati come anticonvulsivanti, in particolare la lamotrigina, efficace anche nel prevenire le ricadute depressive”. Ed Aguglia aggiunge che “Recenti studi hanno evidenziato l’efficacia degli antipsicotici atipici sulla depressione bipolare, con buoni risultati sul controllo del rischio suicidari“.
Il Presidente della Società Italiana di Psichiatria parla anche dei tempi della cura e delle possibilità di miglioramento o guarigione “Se per almeno due anni si ha una stabilizzazione del tono dell’umore si può andare verso una rarefazione della terapia e pian piano perfino verso una sospensione. Ma per la maggioranza dei pazienti si tratta di cure a vita, anche se alla minima dose di farmaco efficace, perché la patologia può essere tenuta sotto controllo, come nel diabete e nell’ipertensione, non guarita“.
I farmaci, tuttavia, si rivelano insufficienti se utilizzati da soli. È necessario che ad essi siano affiancate altre forme di intervento, come sostiene Mencacci “Alla terapia farmacologica, che comprende anche gli antipsicotici atipici, vanno comunque abbinate altre forme di aiuto. Dalla psicoeducazione dei familiari, alla psicoterapia. S’insegna al paziente a conoscere e prevenire le ricadute, sempre dietro l’angolo, a gestire gli stili di vita evitando, per quanto possibile quelle situazioni, come il superlavoro o gli ambienti stressanti, che questi malati patiscono molti più della norma. E, se evitare il problema non è possibile, si aiuta il malato a riconoscere i propri punti deboli, gli eventi per lui più stressanti, affinché si prepari per tempo a gestirli al meglio. Tenere sotto controllo la bipolarità vuol dire anche tenere i malati lontani dall’abuso di sostanze varie: dalla cocaina, ai cocktail di stupefacenti, all’alcol che usano come ‘cura'”.
Francesca Di Giorgio