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La malattia più diffusa tra gli anziani? La solitudine

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La qualità della vita è migliorata, mangiamo meglio, curiamo il nostro corpo, facciamo attività fisica, utilizziamo internet: ma siamo più soli.

Proprio la solitudine sembra esser diventata la malattia del nostro tempo, il tarlo che corrode quella patina di benessere con cui il progresso economico, scientifico, tecnologico sembrano averci ricoperto.

È un disagio, una sofferenza che non conosce distinzioni di età o di ceto sociale. “I ragazzi di oggi hanno tante più cose rispetto a quelli di cinquanta anni fa, ma sono più soli“: è un luogo comune, che si sente ripetere spesso. Non sono solo i giovani ad avvertire il peso della solitudine a cui la vita moderna ci sta condannando; anche le persone anziane soffrono l’emarginazione causata da una società che sembra tagliar fuori chi non sa adeguarsi ai suoi ritmi accelerati. Eppure i “nonni d’Italia” dei nostri giorni stanno provando in ogni modo ad essere al passo con i tempi che cambiano. La vecchina seduta in strada, davanti la porta di casa, con i ferri dell’uncinetto in mano, è ormai un’immagine legata al passato. Secondo il rapporto Censis sulla situazione degli anziani in Italia, i nonni di oggi sono sempre più dinamici, attenti alla salute ed alla forma fisica, uno su due fa lunghe passeggiate, pratica un’attività sportiva e si dedica al sudoku o al cruciverba.

Più del 30%, poi, si concede durante l’anno brevi periodi di vacanza e tiene sotto controllo la propria alimentazione privilegiando prodotti biologici. Non solo: gli anziani oggi sono sempre più autonomi rispetto al passato. Secondo quanto emerge dal rapporto, l’85,2% è in grado di gestire in modo indipendente la propria vita, mentre i non autosufficienti sono solo l’1,5%. Nel 2002 ad essere autonoma era il 76,6% della popolazione anziana. L’età nella quale si manifestano malattie che conducono all’invalidità si è spostata in avanti, così come quella in cui insorgono difficoltà nel cavarsela da soli: i problemi iniziano dopo i 70 anni.

Secondo quanto emerge dal rapporto Censis, gli anziani giudicano sono piuttosto soddisfatti del loro tenore di vita: il 45,5% pensa in modo positivo e si dedica ad attività che favoriscono il benessere; il 37%, invece, pur pensando positivamente non si sente pienamente realizzato e vorrebbe fare di più; solo l’8,6% considera invece la propria vita noiosa e spenta, decisamente poco soddisfacente. Ciò non significa, però, che le persone anziane siano in grado di percepire il reale miglioramento delle proprie condizioni rispetto al passato, anzi: il 24% degli intervistati si dichiara convinto che negli ultimi dieci anni fa le condizioni della terza età siano peggiorate.

Il problema evidenziato con più frequenza – lo avvertono 3 anziani su 10 – è la difficoltà ad instaurare relazioni e ad intrattenere rapporti sociali. Accanto a questo, un senso di inutilità e di emarginazione. In una parola, è aumentata la solitudine, che fa cadere un’ombra anche su quegli aspetti della vita che obiettivamente hanno registrato un miglioramento rispetto al passato. Anche la preoccupazione di non riuscire a fare la spesa quotidiana ha un certo rilievo. Sono sentimenti, paure, che parlano di una nuova dimensione della terza età: vale forse in questo caso il vecchio detto “si stava meglio quando si stava peggio“. Deve far riflettere che il miglioramento di alcuni aspetti della vita – la salute, la forma fisica, la capacità di badare a se stessi – non sia considerato sufficiente a garantire la certezza di un accresciuto benessere.

Il vero problema è che queste condizioni più favorevoli vengono vissute in solitudine e così i loro benefici effetti sembrano annullarsi. Una situazione che non può lasciare indifferenti, un’età che merita rispetto, cura, attenzione delicata, ma soprattutto presenza.

Francesca Di Giorgio

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