Gli astronauti selezionati per la prima missione umana su Marte dovranno avere qualcosa di più che un semplice profilo di conoscenze e di competenze adatte. Dovranno infatti – afferma una recente ricerca – la capacità di dimostrare di avere il desiderio di fare la cosa giusta.
La coscienza, definita come “desiderio di fare ciò che è giusto, e soprattutto di fare bene e a fondo il proprio lavoro o il proprio dovere“, è stata indicata come il requisito fondamentale per gli astronauti che vivranno e lavoreranno sulla superficie di Marte, a milioni di chilometri dalla Terra, stando a quanto afferma uno studio condotto da Julia McMenamin, prima autrice dello studio e dottoranda in psicologia alla Western University in Canada, che ha sottolineato come questo tratto distintivo sia più importante anche dell’onestà, dell’umiltà, dell’emotività, dell’estroversione, dell’apertura mentale.
“La coscienza, un tratto della personalità individuale, può essere pensata come una risorsa comune di squadra“, afferma McMenamin – “più una squadra è coscienziosa e meglio sarà in grado di svolgere i propri compiti“.
Al contrario, tratti come l’abitudine di un membro del team che si impegna meno di quando lavora da solo, sono indesiderabili in un potenziale astronauta. Tratti che sembrano controproducenti e comportamenti negativi sono infatti suscettibili di causare più problemi e disagi in un ambiente di squadra.
Ricordiamo come attualmente la NASA stia puntando al 2030 per dar seguito alla propria prima missione umana su Marte. A seconda dell’allineamento di Marte e della Terra per il lancio e l’atterraggio e della durata della missione sulla superficie marziana, questo equipaggio potrebbe trascorrere cinque anni insieme, oltre al tempo necessario per l’addestramento.
Per testare come potrebbe essere questa dinamica dell’equipaggio prima di una vera missione, i ricercatori hanno studiato un team di cinque “astronauti” durante un esercizio analogo a quello di una missione su Marte, in un evento ospitato dal Forum spaziale austriaco in Oman nel 2018. La regione di Dhofar in Oman è infatti un buon riferimento per l’ambiente marziano, in termini di isolamento e condizioni estreme.
Ebbene, la missione spaziale analogica AMADEE-18, durata quattro settimane, ha coinvolto cinque astronauti, tra cui quattro uomini e una donna, di età compresa tra i 28 e i 38 anni, che hanno vissuto in un ambiente marziano simulato. Prima, durante e dopo la missione, gli astronauti hanno compilato dei sondaggi sulle prestazioni del loro team e su eventuali conflitti di squadra e sui loro livelli di stress.
Alla fine della missione, gli astronauti hanno valutato se stessi e ogni compagno di squadra. Hanno anche risposto a domande sul loro comportamento nei loro rispettivi ruoli e hanno identificato eventuali comportamenti controproducenti, compreso l’ozio sociale.
“È stato dimostrato che la familiarità tra i membri del team è stata dimostrata per aiutare i team a lavorare meglio insieme, probabilmente perché fornisce ai membri del team la conoscenza l’uno dell’altro e li aiuta a comunicare meglio e in modo più efficiente“, ha detto McMenamin.