Di sclerosi multipla soffrono circa 61 mila italiani, principalmente giovani tra i 20 e i 40 anni.
Sebbene esistano terapie che ritardano l’evoluzione della malattia e i ricercatori siano costantemente al lavoro su una terapia definitiva, i bisogni di cura dei pazienti italiani restano tuttora insoddisfatti.
“In Italia solo il 9% dei pazienti in cura per la sclerosi multipla viene trattato con i farmaci più innovativi e si riscontrano ancora difformità da regione a regione nell’accesso alle cure” ha spiegato Federico Spandonaro, docente di Economia sanitaria alla Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata di Roma, nel corso del convegno “Accesso sostenibile all’innovazione: un confronto sulla sclerosi multipla”.
Promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute e patrocinato dal Ministero della Salute, dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e dalla Società Italiana di Neurologia, il convegno ha offerto l’opportunità di fare il punto della situazione nel nostro Paese, dimostrando come la media nazionale del 9% di pazienti che riescono ad accedere a cure innovative scende vertiginosamente in alcune regioni, come la Campania (4,7%), la Toscana (5,6%), il Veneto (6,5%), l’Emilia Romagna (7,2%), la Sicilia (7,8%) e, ancora, le Marche (7,3%).
“Differenze che non sono dovute a fattori epidemiologici – precisa Spandonaro – ma alla difficoltà di misurare e riconoscere l’innovazione”. Come è successo, ad esempio, con il natalizumab, il primo anticorpo monoclonale per la sclerosi multipla introdotto nel 2008, ma con un ritardo che, a seconda delle Regioni, è stato tra i 2 e i 12 mesi (in Sicilia).
“L’equità nell’accesso alle cure, specialmente all’innovazione, è un diritto della persona – conclude Antonella Moretti, direttore generale Aism e Fism – e dobbiamo pensare a tutti i duemila giovani, ai nuovi casi che ogni anno diagnosticheremo e allo scenario terapeutico evoluto che avremo nei prossimi dieci anni: curarsi bene e da subito significa bloccare la progressione, non raggiungere più la disabilità, vivere la propria vita in qualità, non essere per tutti gli anni futuri solo un costo sociale e sanitario“.
Roberta Ragni