Rimanere incinta dopo che la chemioterapia compromette la fertilità, oggi è possibile. È la storia di Alberta, 37 anni, precedentemente malata di cancro alla mammella, ora al terzo mese di gravidanza. La soluzione? Il congelamento degli ovuli.
Ad annunciarlo, la dottoressa Eleonora Porcu, ricercatrice dell’Università di Bologna e direttrice del Centro per l’Infertilità e la Procreazione medicalmente assistita: “Alberta è la prima donna in Italia che dopo una chemioterapia antitumorale riesce a concepire un figlio grazie alla tecnica del congelamento degli ovuli. Alberta si rivolse a noi nel 2008 su consiglio del suo oncologo e, prima di iniziare la chemio, si sottopose alla crioconservazione degli ovociti. Qualche mese fa è tornata, il cancro era stato debellato e ora poteva provare ad avere un figlio. Ma come spesso accade resta difficile dopo una terapia così invasiva generare in modo naturale, così abbiamo scongelato quattro ovociti ottenendo tre embrioni che abbiamo trasferito nel grembo della mamma. 12 giorni dopo le analisi davano esito positivo: Alberta era incinta”.
Una storia questa che riaccende le speranze di tutte quelle donne – centinaia di migliaia – che per colpa del cancro perdono la possibilità di procreare; un problema non da poco che la ricerca medica tenta di sconfiggere. Basti pensare che in Italia le stime parlano di una percentuale che oscilla tra il 40 e il 70%; per il solo tumore al seno si parla di un numero di donne che va da 15.000 a 26.000 l’anno.
E soprattutto una tecnica consentita dalla legge italiana: a differenza del congelamento degli embrioni, infatti, la crioconservazione degli ovociti è legalmente realizzabile e ha il vantaggio di poter essere praticata preventivamente, anche in assenza di un candidato papà. L’importante è che gli ovuli siano disponibili almeno due settimane prima dell’inizio della chemioterapia.
Un modo per preservare la fertilità nelle pazienti con cancro al seno affinché l’avere un figlio non rimanga un sogno inespresso.
Fabrizio Giona