Un tasso di mortalità unico negli annali della influenza virologia. È quello del virus H5N1, meglio conosciuto come influenza aviaria, che, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 2003 ha colpito 573 pazienti in 15 diversi paesi, uccidendone il 58,6%.
Ma H5N1 è davvero così letale come si è sempre temuto? A questa domanda ha cercato di rispondere una nuova meta-analisi, pubblicata recentemente dalla rivista Science a firma di un gruppo di ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York.
Nonostante sia difficile che si trasmetta agli esseri umani, il virus dell’influenza aviaria, individuato per la prima volta a Hong Kong nel 1967, avrebbe un tasso di mortalità ben più alto del H1N1, cioè dell’influenza suina, che creò un allarme mondiale nel 2009-2010.
Ma l’obiettivo degli scienziati, guidati da Peter Palese, era quello di determinare l’evidenza sierologica delle infezioni del virus nell’essere umano, dal momento che la prevalenza delle infezioni da influenza di H5N1 non era mai stata fino a oggi determinata in modo esaustivo. Analizzando i dati dei 12.500 partecipanti a 20 studi che, pur non sviluppando sintomi influenzali, erano stati a contatto con malati o allevamenti avicoli colpiti da casi confermati o sospetti di infezione da H5N1, hanno scoperto che circa l’1-2% di queste persone avevano un’infezione documentata da analisi sierologiche.
Gli esperti arrivano così a ipotizzare che i criteri di conferma delle infezioni umane stabiliti dall’OMS tendano a escludere la maggior parte delle infezioni, limitandosi solo ai pochi casi già ospedalizzati, che hanno una maggiore gravità e, pertanto, una prognosi peggiore. Queste cifre dimostrano che credono che “i virus H5N1 può causare un livello moderato di infezione subclinica negli esseri umani, che attualmente non viene presa in considerazione“, spiega la ricerca. Di conseguenza, “il tasso di mortalità effettivo associato con questi virus è probabilmente inferiore al tasso riferito di frequente di oltre il 50%“. In sostanza, concludono gli autori, i virus H5N1 possono causare nell’essere umano una quota di infezioni non gravi o subcliniche di cui finora non si è tenuto conto.
La metanalisi dei ricercatori della Mount Sinai non è in grado “di avanzare i numeri reali del tasso di mortalità“, spiega lo studio stesso, ma stima che diversi milioni di persone siano state infettate in tutto il mondo senza alcuna conseguenza grave per la salute.
Insomma, mentre nel mondo impazza il dibattito sulla possibilità di rendere pubblici o meno i risultati di alcuni studi su questi agenti mutanti, Palese e colleghi, pur non fornendo dati precisi sul tasso di letalità, rafforzano con questa ricerca la convinzione di chi ha sempre creduto che l’aviaria non fosse poi così letale e pericolosa come le autorità e i media hanno voluto farci credere. Che abbiano davvero ragione?
Roberta Ragni