Il momento della gravidanza è uno dei più magici nella vita di una famiglia. Da subito si inizia a pensare a quale nome dare al proprio figlio. C’è chi si basa sulla scelta dettata dalla famiglia di utilizzare il nome dei nonni. Altri si affidano al gusto personale lasciandosi ispirare dal nome di un personaggio di un romanzo, piuttosto che di un attore o di un cantante.
Insomma la scelta del nome non è assolutamente semplice. I genitori hanno il compito di decidere quale “etichetta” avrà il proprio figlio per tutta la vita. Ma da cosa è dettata la scelta? Secondo la New York University e l’Università dell’Indiana si utilizzano le stesse regole usate nel mercato azionario. Vengono scelti i nomi che trasmettono successo e spesso si rischia di essere fin troppo originali fino al pentimento.
Laura Wattenberg si occupa di studiare le origini della scelta del nome dei nascituri da oltre dieci anni e nel suo blog The Baby Name Wizard si è occupata anche del “namer’s remorse“, il pentimento dei genitori dopo la registrazione all’anagrafe. Secondo i dati del sito Your Baby Domain Name sarebbero circa l’8% dei genitori a pentirsi della propria decisione o perché se ne è scelto uno troppo comune oppure troppo originale.
Una spiegazione per questo pentimento ha provato a darla la scrittrice Pamela Redmond Satran, creatrice del sito Nameberry, che ha trovato la sua origine nei commenti negativi degli altri che portano a riflettere:
“I genitori non si rendono conto di quanto rapidamente cambino le tendenze relative ai nomi dei bambini e quindi quello che inizialmente poteva essere originale può poi diventare comunissimo. Quando le mamme arrivano dal pediatra o vanno al parco e si rendono conto di quanti bambini abbiano lo stesso nome del loro, si fanno prendere dal rimorso. Per non parlare di chi si pente perché ha dato retta ai consigli di altri o ha ceduto alle pressioni della famiglia o dei suoceri e ha dato il nome senza convinzione”.
In molti si affidano ai libri dei nomi per scegliere quale sia quello giusto da dare al bebè in arrivo. Si nota comunque una tendenza a scegliere quelli più originali, anche se bizzarri e a tratti ridicoli. I nomi che potrebbero essere scelti sono veramente tanti e infatti si arriva a quel fenomeno che il ricercatore Barry Schwartz dello Swarthmore Collegeparla ha definito “paradosso della scelta“. Cioè più scelte abbiamo più ci stressiamo e più tendiamo poi a prendere decisioni di cui ci pentiremo.
Per evitare questo problema possiamo seguire un consiglio dato dalla Wattenberg:
“Il segreto è circoscrivere al massimo la lista dei nomi preferiti. Pochi ma buoni. Evitando di perdersi tra centinaia di opzioni fuorvianti”.
La situazione italiana è ancora molto tradizionalista. I nomi più usati dal 2004 al 2009, secondo dati Istat, sono Francesco e Giulia. Grande successo lo riscuotono anche Sofia, Alessandro, Giorgia, Andrea, Lorenzo, Emma, Matteo, Martina, Aurora, Alice e Anna. Ovviamente non mancano anche nel nostro paese esempi di originalità eccessiva. Lo si capisce facendo una passeggiata in un parco o davanti ad una scuola e ascoltando i nomi che hanno i bambini delle ultimissime generazioni.
Secondo Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP (Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti) di Piacenza, il nome ha una grande importanza sull’immagine che gli altri hanno. È come se fosse un biglietto da visita:
“Il nome che scelgono i genitori ha sempre una storia particolare e influisce decisamente sull’immaginario che gli stessi hanno del figlio o della figlia. Una volta il problema non esisteva, in quanto mamma e papà davano in automatico il nome degli antenati. Ma, da due-tre generazioni, essi si sono appropriati di questa decisione ed è il loro immaginario ad essere proiettato sui figli”.
Quindi, per Novara, il nome scelto, quando non è stato imposto dalla famiglia, riflette delle aspettative che i genitori riversano sui figli:
“Il nome di un’attrice potrebbe significare un’aspettativa analoga nei confronti della creatura. Altrettanto uno naturalistico. Un nome a sfondo politico (come potrebbe essere oggi Silvio e, a suo tempo, esser stato Benito) segna invece una precisa intenzione di ‘indirizzamento’ da parte della famiglia. Il nome è la prima traccia che intenzionalmente i genitori lasciano sulla discendenza. Per questo il momento della scelta è così importante”.
Ma lo psicologo Maurizio Brasini ha sottolineato il fatto che durante la nostra vita siamo quasi obbligati a interpretare il ruolo datoci dai nostri genitori attraverso il nome ma alla fine bisogna riuscire a trovare il nostro vero nome:
“Siamo abituati a dire ‘io mi chiamo’ ma in realtà sono gli altri a chiamarci: qualcuno (in genere i nostri genitori) sceglie un nome per noi alla nascita, e noi impariamo a identificarci con quello. Per completare il quadro, c’è da notare che i nomi hanno sempre un significato, non soltanto in senso etimologico, ma perché ognuno porta con sé una storia con un’origine e, verosimilmente, un destino. Il nome è un po’ come l’incipit del romanzo che narra la nostra storia. Ma è impossibile prevedere in che modo ciascuno di noi farà i conti con esso. Mi piace immaginare che ognuno sia come i gatti delle poesie di T.S. Eliot che hanno tre nomi: il primo è quello assegnato loro dai loro padroni, il secondo quello con cui sono conosciuti nella comunità dei gatti e il terzo è il loro vero nome, radice della loro essenza felina. Arrivare a conoscere quest’ultimo è il lavoro di tutta una vita”.
Sicuramente la scelta del nome da dare al proprio figlio è importante. Ma di certo non è l’aspetto principale che modifica la vita delle persone perché in realtà conta molto di più cosa si fa e come ci si comporta nella vita rispetto a quale nome si ha. La nostra identità ce la costruiamo noi al di là del nome che abbiamo avuto alla nascita. Quindi cari genitori non fatevi prendere dallo sconforto per il nome scelto, nulla è irrimediabile.