Addio ticket, a sostituirlo sarà un sorta di sistema a franchigia, che prevede un pagamento commisurato al reddito.
A dare la notizia del futuro cambiamento del meccanismo della sanità italiana è stato Renato Balduzzi, attuale ministro della Salute, che ha anche smentito l’ipotesi di una junk food tax, su cui c’è solo l’ipotesi, ancora in fase di studio, di tassare con 3 centesimi per bottiglia da 33 cl le bevande zuccherate e gassate. Superata la discussione sulla tassa al cibo spazzatura, ora a tenere banco è l’annuncio di una vera e propria rivoluzione della sanità come la conosciamo.
“Stiamo pensando a una forma di franchigia che avrebbe tanti vantaggi, e lavorando per ridurre gli svantaggi, siamo prossimi a formalizzare una proposta compiuta per rimodulare il sistema dei ticket“, ha annunciato il Ministro ai microfoni di Radio Anch’io, su Radio1. Il nuovo sistema risolverebbe il problema “delle esenzioni non legate al reddito” e risponderebbe ai criteri di “trasparenza, equità e tendenziale omogeneità“.
L’ipotesi di introdurre una franchigia invece della compartecipazione alla spesa sanitaria attraverso i ticket per Balduzzi sarebbe una soluzione per “il problema delle esenzioni non legate al reddito e risponderebbe ai criteri di trasparenza, equità e tendenziale omogeneità. Perché prevede che ciascun cittadino paghi fino a una certa soglia, modulata sul reddito superata la quale il servizio sanitario si fa carico di tutto“.
Uno studio sul Copayment dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Agenas, aveva ipotizzato di fissare la soglia al 3 per mille del reddito lordo, che si tradurrebbe ad esempio in 30 euro l’anno per un pensionato con 10mila euro di reddito, per arrivare a 300 euro l’anno per un reddito di 100mila euro. Ciò significa che fino al raggiungimento di questa cifra, ad esempio, acquistando farmaci e sottoponendosi ad una visita specialistica, dovrà pagare tutto di tasca sua. Sopra i 300 anche per lui sarà tutto gratis.
La compartecipazione, o “copayment”, introdotta con la Finanziaria del 1982, potrebbe quindi andare in pensione e, una volta scomparsi i ticket, i cittadini avranno questa franchigia, calcolata in percentuale del reddito, fino al concorrere della quale dovrà pagare interamente ogni prestazione sanitaria, farmaco, analisi o intervento chirurgico. Oltre questo tetto, sarà tutto gratuito e la franchigia varrà per l’arco degli ultimi dodici mesi: in questo periodo si esaurirà il ciclo di raggiungimento del plafond a pagamento e dell’accesso gratuito a tutte le prestazioni. Dopo i dodici mesi si ricomincerà a pagare fino al proprio personale plafond e, una volta superato il livello, si accederà gratuitamente.
Il piano, che dovrà comunque passare al vaglio delle Regioni in vista del tavolo sul Patto per la salute, per ora ha scatenato reazioni piuttosto negative. “Ipotesi da scartare, colpirebbe tutti indistintamente, sarebbe la riedizione della tassa sulla salute degli Anni Novanta”, ha commentato Luca Coletto, coordinatore degli assessori regionali alla Sanità. Anche al segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, e al responsabile Politiche della salute del sindacato, Stefano Cecconi il sistema delle franchigie non piace.
“Avevamo dato la disponibilità a discutere -spiegano i due dirigenti- su come rendere più equo il sistema, senza rinunciare all’obiettivo di arrivare, seppur gradualmente, al superamento dei ticket. Ma bisogna farlo all’interno di un confronto per dare respiro e risorse al Servizio Sanitario Nazionale, strangolato da 17 miliardi di tagli lineari in tre anni, e ora nel mirino di una spending review – continuano – che annuncia nuovi tagli invece che proporre come rendere appropriata la spesa, riqualificando i servizi e con una vera lotta agli sprechi“.
In questa situazione, osservano Lamonica e Cecconi, “anziché aprire il confronto richiesto, il Ministro annuncia manovre sui ticket vecchi e nuovi (che non vengono affatto aboliti, anzi aumentano: con le manovre finanziarie si aggiungono altri due miliardi di nuovi ticket) e oltretutto preconfezionate, i cui esiti in termini di equità e appropriatezza sono tutti da dimostrare“, concludono.
E, in effetti, il sistema sembra, come al solito, colpire fondo i più deboli e le famiglie, lasciando indenni politici, corporazioni, speculatori e soprattutto evasori. E lascia irrisolti molti problemi strutturali che incidono fortemente sul costo della sanità, come i guadagni ingiustificati delle industrie farmaceutiche, il problema dei cartelli delle multinazionali che vendono costosissime apparecchiature elettromedicali a prezzi da loro stabiliti, o le spese ingiustificate delle costruzioni ospedaliere e delle varianti in corso d’opera.
Roberta Ragni