Una medicina che prenda come proprio esclusivo modello di studio l’uomo medio bianco potrebbe risultare decisamente svantaggiosa per coloro che appartengono ad una etnia o ad un genere diverso, con particolare riferimento alle donne. È ciò che è emerso nel corso di un convegno tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano lo scorso 23 maggio, volto ad approfondire l’argomento: “La Medicina di Genere in Europa: Sviluppi e Prospettive”.
Al convegno hanno preso parte alcune esperte internazionali di quella che viene denominata “medicina di genere”, la quale si pone come obiettivo di procedere nell’effettuazione di diagnosi e nella ricerca delle cure tenendo in elevata considerazione le differenze tra gli individui, con particolare riferimento, nel caso delle donne, alle peculiarità delle caratteristiche fisiche maschili rispetto a quelle femminili.
Ci si riferisce a tratti che non dovrebbero essere mai più trascurati e che finora purtroppo sarebbero stati spesso sottovalutati, mettendo a rischio non soltanto la salute, ma anche la vita, di numerose donne. Al convegno hanno preso parte alcune delle maggiori esperte internazionali in materia di medicina di genere, come Ineke Klinge, Professore Associato in Medicina di Genere della Maastricht University e Vera Regitz-Zagrosek, Direttrice dell’Istituto di Genere nella Medicina (GiM) di Berlino.
Le ricerche nel campo della medicina di genere, che ha preso piede negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta, ha posto in luce come tra uomini e donne vi siano differenze non soltanto dal punto di vista sessuale, ma anche legate a numerosi fattori biochimici e biologici. Tra le patologie prese in considerazione durante il convegno milanese relativo alla medicina di genere vi è stato l’infarto, riguardo al quale, come sottolineato da Patrizia Presbitero, primario di cardiologia interventistica presso l’ospedale Humanitas di Rozzano (Mi), non bisognerebbe dimenticare come esso possa manifestarsi nelle donne con sintomi dissimili da quelli maschili.
Si tratterebbe di sintomi insoliti negli uomini, che dunque, di frequente, nel caso delle donne, non verrebbero riconosciute, portando a dei veri e propri pericolosi ritardi nella cura dell’infarto e delle problematiche cardiache. Altro punto emerso riguarda le operazioni per la sostituzione della valvola aortica, in quanto le valvole comunemente in commercio sarebbero troppo grandi per le aorte femminili, e si rivelerebbero in grado di provocare lacerazioni dei vasi sanguigni, come sottolineato nuovamente dalla dottoressa Presbitero. Ci sembra dunque essenziale che le ricerche mediche possano proseguire in maniera sempre maggiore nell’effettuare studi specifici privi di discriminazioni di genere, che possano tutelare al meglio la salute femminile e da cui possano trarre vantaggio le donne di tutto il mondo.
Marta Albè