Morire il giorno del proprio compleanno, nel momento in cui l’universo e tutto l’ambiente familiare dovrebbe gioire per la nostra presenza nel mondo. Aspettare proprio la data in cui si compie, per l’ennesima volta, il giro del calendario, per lasciarsi andare alla fine di tutto.
Sembra una tristissima sciagura, uno di quegli scherzi beffardi del destino che si permette di giocare con la nostra fragilità fino allo scherno estremo, fino all’ultima, devastante, dimostrazione di forza. Abbandonare la vita nel giorno in cui si dovrebbe celebrarla, in tutto il suo splendore, è un fatto molto più comune di quanto si pensi. Lo rileva uno studio, protratto per quarant’anni, dell’università di Zurigo, che ha analizzato circa 2,4 milioni di decessi. Una cifra decisamente importante e significativa.
In concomitanza con il compleanno, cresce lo stress nelle persone. E se le morti dovute agli eccessivi festeggiamenti, che in fondo sono le meno tragiche, sono relativamente poche, quelle legate a tristezza e ad infarti o ictus sono più cospicue.
Ma il fatto sconcertante è che si muore di più anche per tumore o altre patologie non improvvise. Come se l’organismo, ad un certo punto, obbedisse ad un orologio interiore e decidesse di spegnersi in una geometria perfetta di date e numeri. L’ultimo atto poetico di un corpo provato dal tempo.
Il dato più doloroso, su cui riflettere almeno un poco, è che nel giorno del compleanno aumenta la sofferenza di chi si sente profondamente solo e abbandonato dalla società. La depressione, il mal di vivere, la fatica esistenziale, portano l’individuo melanconico a fare un drammatico paragone tra lo stato in cui vive e il momento del compleanno, che dovrebbe essere una festa gioiosa. A quel punto, la realtà infelice irrompe con tutta la sua forza, a vibrare il colpo fatale sulle anime addolorate. Non c’è prospettiva di futuro che tenga: in quel momento, l’unica soluzione sembra quella di porre fine ad un dolore insostenibile.
Così si spengono vite e si perdono preziosi esseri umani, troppo inquieti e sensibili per poter assistere allo sfacelo della propria essenza. Perché per chi è in uno stato di afflizione estrema e dolore, nulla sembra più avere un senso e il raffronto con gli altri diventa la più urticante delle torture.
Anche senza arrivare al dramma, molte persone detestano la data del compleanno. Impongono agli amici di fare feste e di fingere che sia un giorno come tutti gli altri. Come se fosse una data da dimenticare. Questa è una delle più gravi forme di “irriconoscenza”. La vita è un dono. A prescindere dallo spirito religioso che può o meno animare ogni essere umano, è necessario per tutti riconoscerne il valore.
Il mondo è infiammato dalla rabbia, che trascina l’uomo in continue guerre e nella sopraffazione sugli altri. La cronaca è perennemente alla ricerca del marcio, del male e di quanto rende la razza umana imbarazzante.
Ma accanto a questo, ci sono tutti quei meravigliosi attimi che ognuno di noi può gustare. In qualsiasi tragedia, c’è una forma di nobiltà ed un lato pieno di speranza e di preziosi insegnamenti per il futuro. Sentire la vita, nel proprio corpo, dona un senso profondo, disponendo l’individuo alla felicità. Forse, se ci sentissimo di più, se stessimo più a contatto con la nostra interiorità e con il corpo che ci permette di vivere, saremmo più inclini a trattare noi stessi e il giorno del nostro compleanno per quella fantastica occasione di celebrare il miracolo che l’esistenza di ognuno di noi è.
Perché ogni vita è un miracolo indispensabile. E ogni miracolo porta gioia e dà valore al mondo.
Fiammetta Scharf