Quando e a quali dosi possono essere indicati questi acidi grassi. Uno studio pubblicato Journal of the American Medical Association da Evangelos Rizos, dell’Università greca di Ioannina riapre la discussione sulla effettiva utilità degli omega 3 per il benessere del corpo.
In particolare, fare uso di supplementi a base di omega-3 non servirebbe a ridurre il rischio di problemi a cuore e vasi, né inciderebbe in alcun modo sulla mortalità generale o su quella legata a eventi cardiovascolari.
La connessione tra omega-3 e malattia cardiovascolare è stata studiata attraverso una meta analisi, che ha identificato i risultati di 20 studi e li ha confrontati tra loro. Gli studi hanno compreso 69mila persone, tra cui alcuni che avevano assunto integratori con omega 3. In tutto, sono stati registrati 7000 decessi, 4000 crisi cardiache fatali, oltre 1100 morti improvvise, 2000 attacchi cardiaci e 1500 ictus.
Secondo Rizos, quindi,
“gli omega-3 non sono statisticamente associabili all’outcome cardiovascolare nelle varie popolazioni di pazienti, per cui il risultato dello studio non giustifica gli omega-3 come intervento strutturato nella pratica clinica quotidiana o nella somministrazione quotidiana di una dieta”.
Subito è insorta la comunità medica. Gli acidi grassi polinsaturi omega 3, reclamizzati per ridurre e combattere il rischio cardiovascolare e raccomandati dall’American Heart Association nelle attuali linee guida, sono utili nella prevenzione e diminuzione del rischio cardiocircolatorio (10-15%),
“come dimostrato da diversi trial clinici randomizzati”,
dice il dottor Gregg Fonarow, portavoce dell’AHA e professore di cardiologia alla University of California di Los Angeles.
“Sono in grado di ridurre “del 9% i decessi per crisi cardiache – continua Fonarow – e dell’11-13% il rischio di altre situazioni quali l’attacco cardiaco e la morte improvvisa. Visto che questi integratori sono ampiamente disponibili, economici e ben tollerati, anche un piccolo beneficio dovrebbe essere valutato in modo positivo per la salute dell’individuo e della popolazione nello scenario globale”.
Per Duffy MacKay, vice presidente del Scientific and Regulatory Affairs presso il Council for Responsible Nutrition di Washington,
“gli integratori con omega-3 restano importanti per la salute complessiva, ma occorre moderare anche le aspettative in quanto i nutrienti non sono farmaci, ed hanno un impatto più moderato”.
Ma il ricercatore greco, dopo aver impiegato parametri statistici di “aggiustamento” e correzione dei dati, considera l’effetto protettivo troppo parziale e non significativo.
“Bisogna tuttavia sottolineare che molte delle ricerche in questo campo si sono occupate di prevenzione secondaria, ovvero di un uso degli omega-3 in pazienti che hanno già avuto danni cardiovascolari – aggiunge Gian Luigi Russo dell’Istituto di Scienza dell’Alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Avellino -. Gli effetti positivi più evidenti sono stati dimostrati solo in questi casi, anche perché è molto difficile disegnare e finanziare studi per verificare gli effetti degli omega-3 in persone sane”.
Allora che fare?
“A oggi – continua Russo – non ci sono indicazioni forti per consigliare i supplementi di omega-3 a persone sane: chi non ha problemi specifici e prende una capsula di omega-3 per sentirsi più protetto dall’infarto potrebbe piuttosto portare in tavola il pesce due, tre volte alla settimana”.
Occhio, però, in questo caso, al rischio di ingerire anche il mercurio, di cui purtroppo alcuni pesci sono ricchi.