Gli uomini e le donne sono uguali? Non in fatto di stress, davanti al quale i due sessi non reagiscono allo stesso modo, anche a causa di un gene. E se, in media, il maschio tende ad avere una reazione aggressiva e “di lotta”, la femmina accetta meglio gli eventi, cercando di gestirli e di adattarsi.
È quanto sostiene uno studio australiano condotto da Joohyung Lee del Prince Henry’s Insititute di Melbourne Lee e Vincent Harley della Monash University, pubblicato sulla rivista BioEssays.
Il polso accelera, il cuore batte forte e l’adrenalina scorre nelle vene, ma in situazioni di stress la nostra reazione è controllata dai nostri geni, dicono i ricercatori. Si chiama SRY e si trova sul cromosoma maschile Y, che finora si credeva responsabile solo del sesso del feto. Il team è giunto a questa conclusione dopo aver accertato come diversi precedenti studi si erano soffermati soltanto sulle reazioni dell’uomo, e non su quelle della donna.
“Storicamente, maschi e femmine sono stati oggetto di pressioni selettive diverse, che vengono riflesse da differenze biochimiche e comportamentali tra i sessi – spiega il dottor Joohyung Lee in un comunicato pubblicato da Science Daily – l’aggressiva reazione di lotta o fuga è più dominante negli uomini, mentre le donne adottano soprattutto una risposta meno aggressiva”.
Vincent Harley, poi, aggiunge:
“si è pensato a lungo che l’unica funzione del gene SRY fosse quella di formare i testicoli. Poi abbiamo scoperto la proteina SRY nel cervello umano e con ricercatori della UCLA guidati dal professor Eric Vilain, si è dimostrato che la proteina controlla il movimento nei maschi tramite la dopamina”.
Nelle donne invece sono gli estrogeni e altri ormoni ad influenzare le risposte che, in questo caso, agiscono al contrario in modo inibitorio sulle reazioni aggressive.
“Questa ricerca aiuta a scoprire la base genetica per spiegare cosa predispone uomini e donne a certi fenotipi comportamentali e disturbi neuropsichiatrici”,
conclude Lee. Perché uomini e donne sono “sistemi” diversi. L’importante, spiega Liliana Dell’Osso, coordinatore scientifico del Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, è essere attenti ai sintomi che indicano un disagio profondo per intervenire in tempo.
“Spesso si utilizzano psicoterapie e tecniche di rilassamento o la cosiddetta mindfulness, la meditazione per la consapevolezza — dice la dottoressa —. Questi metodi facilitano un maggiore distacco emotivo e aiutano a ridurre i sintomi di ansia, favorendo la rielaborazione di eventi stressanti e la gestione dello stress quando diventa cronico; in caso di traumi veri e propri si fa anche ricorso al cosiddetto debriefing, in cui l’evento viene narrato e rivissuto, ma talvolta questo non risolve il problema e anzi tende a peggiorare e cronicizzare i sintomi. Perciò, quando lo stress è patologico, è sempre opportuno strutturare e personalizzare l’intervento sulla base delle esigenze del singolo”.