Del piede piatto si sente parlare soprattutto a proposito dei bambini. Questo perché, a partire in genere dai 4 anni, il grasso plantare fa sì che quasi tutto il piede tocchi a terra, provocando quindi la netta sensazione che ci sia un inizio di piede piatto. In realtà, bisogna distinguere tra una ridotta arcata plantare e un vero e proprio piede piatto accompagnato da alterazioni funzionali.
Ma non è facile individuare un problema di piede piatto. Con l’osservazione del cammino ci si può accorgere, infatti, dell’eccessiva deviazione della parte posteriore del piede verso l’esterno, del precoce sollevamento del tallone dal suolo e della difficoltà dell’alluce in fase di distacco dal suolo. In realtà, solo andando in centri specializzati si può monitorare con una certa attendibilità, le andature da piede piatto e lo si può fare grazie alla moderna tecnologia.
È dai 4 agli 8 anni che più facilmente sarà diagnosticato un problema da piede piatto. Ma qui esistono due scuole di pensiero. La prima sostiene che si può proporre un plantare che mantenga il tallone in asse con la gamba che, proprio in fase di crescita, trova la giusta posizione e si corregge. Se non si ottengono risultati, allora il problema del piede piatto è più serio e, dopo gli 8 anni, si può intervenire con un’operazione che corregge il piede piatto.
In realtà, benché la sua efficacia sia dimostrabile al 100%, occorre, da adulti, studiare una terapia mirata a togliere gli altri difetti che sono venuti fuori. Secondo i medici, seguire tutta la vita il problema del piede piatto, vuol dire assicurarsi contro artrosi e problemi biomeccanici che insorgono in futuro a causa di questo difetto congenito.
La seconda scuola di pensiero, invece, bandisce plantari e scarpe ortopediche fino agli otto anni. Secondo loro, il piede piatto in questa fase è normale e non è da correggere. Dopo gli otto anni, se ci sono problemi specifici, allora si può procedere a strumenti correttivi.
Sara Tagliente