“Oggi non ho voglia. Non è così urgente. Può aspettare”. Ecco tre delle frasi che sono in grado di inquinarci la qualità di vita, intasando il quotidiano di questioni non affrontate e irrisolti vari. Coloro che hanno l’abitudine di rimandare, sanno bene quanto sia pesante andare incontro ad una giornata già gravata di obblighi accumulati nei giorni precedenti.
Dato che la semplice esortazione al fare spesso non basta, il Dott. Neil Fiore, (#linkaffiliazione) considerato uno dei guru della produttività e del successo personale, ha dedicato il suo manuale al problema del procrastinare.
Nel libro si trovano interessanti spiegazioni sul perché tendiamo a rovinarci interi periodi dell’esistenza, consapevoli – perché spesso siamo lucidissimi a riguardo – del disastro che stiamo deliberatamente costruendo, giorno dopo giorno. Il dottor Fiore rivela subito che la tendenza a rimandare nasconde paure represse.
Per illustrare meglio il concetto, il dottore propone un esperimento.
Bisogna immaginare di camminare su una tavola di legno, spessa e solida, lunga 5 o 6 metri e appoggiata al suolo. L’idea non ci pone nessun tipo di problema. Ora pensiamo che la stessa identica tavola sia sospesa tra due edifici, a 30 metri da terra. Quali sono le sensazioni che ci assalgono? Che tipo di emozione proviamo, immaginando di dover camminare lungo quella tavola? Il dottore suggerisce di prendersi qualche momento per annotare come in noi si formino pensieri angosciosi e paralizzanti, dovuti alle conseguenze della possibile caduta.
Spesso, nel nostro quotidiano, siamo noi stessi a sollevare in aria la tavola. Principalmente, per l’ansia di essere e apparire perfetti, tanto a noi stessi quanto agli altri. Se l’idea di portare a termine un compito scatena la nostra necessità interiore di risultare impeccabili, allora fallire in quel compito diventa un’onta insopportabile e invece che affrontare il problema facendo dei semplici e piccoli passi, ci facciamo cogliere dal panico.
Infine, il dott. Fiore suggerisce di immaginare che l’inizio della tavola su cui ci troviamo vada improvvisamente a fuoco. Allora ci muoviamo in fretta per raggiungere il bordo opposto e trovare salvezza. Questo è esattamente ciò che facciamo quando aspettiamo fino all’ultimo momento utile e poi ci diamo da fare nel modo peggiore possibile, con l’assillo del tempo ormai agli sgoccioli e una scarsissima lucidità mentale.
La prima cosa da fare, quindi, è cercare di domare la nostra paura attraverso un esame attento delle emozioni disturbanti. Perché l’idea di fallire in un determinato compito ci riempie di angoscia? Cosa succederebbe se non riuscissimo a farlo? Sarebbe davvero così grave ammettere di aver sbagliato? Questo crea una sorta di “rete emotiva di sicurezza”, che ci permette, anche in caso di caduta accidentale, di non soccombere al fallimento. Se uno dei motivi per cui rimandiamo è che ci sembra sempre di non fare in tempo a fare tutto, possiamo ricorrere a un monitoraggio del ritmo del nostro quotidiano. Scrivendo, per esempio, come trascorriamo le nostre giornate e quali emozioni sono collegate o precedono gli avvenimento meno piacevoli.
Poi, bisogna accettare anche gli obblighi più gravosi. Sostituendo il discorso interiore fatto di “devo fare questo” con un “sto per fare questo”. Cominciare a parlare a se stessi con più indulgenza, cercando di evitare di diventare gli inquisitori di noi stessi e dei nostri possibili errori. Imparare ad accettarsi, con i propri limiti, senza pensare che il non riuscire a fare una cosa sia sinonimo di essere incapaci come esseri umani.
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Ci sono attitudini che abbiamo e abilità che ci sfuggono. Ammetterlo non toglie nulla al nostro valore profondo. Soprattutto, vuol dire accettare di mostrare la propria fragilità, che è una delle qualità che rendono completo un essere umano. Tentare di emulare un’idea di perfezione è irreale. L’umano è meraviglioso in quanto latore di splendidi contrasti. Perché la luce sarebbe invisibile se non ci fosse il buio ad esaltarla.