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Ssn, caos su dichiarazioni di Monti. Privatizzazione sì o no?

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La sostenibilità futura dei sistemi sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni“.

Con queste parole in tema di Ssn pronunciate ieri, Mario Monti, Presidente del Consiglio, ha aperto non senza polemiche un nuovo dibattito sui metodi di finanziamento della sanità pubblica.

Cosa si intende per “nuove modalità di finanziamento”? Nuove tasse? Forme di finanziamento private? Assicurazioni integrative? Le affermazioni del premier hanno scatenato tutti, sindacati compresi.

A tentare di spiegare la sistuazione ci ha pensato una nota di Palazzo Chigi di ieri sera in cui si legge. “Contrariamente a quanto riportato dai media, il Presidente ha voluto attirare l’attenzione sulle sfide cui devono far fronte i sistemi sanitari per contrastare l’impatto della crisi. Ciò vale, peraltro, per tutti i settori della pubblica amministrazione. Le soluzioni ci sono, e vanno ricercate attraverso una diversa organizzazione più efficiente, più inclusiva e più partecipata dagli operatori del settore. Le garanzie di sostenibilità del servizio sanitario nazionale non vengono meno. Per il futuro è però necessario individuare e rendere operativi modelli innovativi di finanziamento e organizzazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie“.

In sintesi – specifica Palazzo Chigi – il Presidente non ha messo in questione il finanziamento pubblico del sistema sanitario nazionale, bensì, riferendosi alla sostenibilità futura, ha posto l’interrogativo sull’opportunità di affiancare al finanziamento a carico della fiscalità generale forme di finanziamento integrativo. Inoltre, egli ha voluto sollecitare la mobilitazione di tutti gli addetti ai lavori, così come degli utenti e dei cittadini, per una modernizzazione e un uso più razionale delle risorse“.

Sulle polemiche scaturite dalle parole di Mario Monti è tornato Renato Balduzzi, ministro della Salute, che a SkyTG24 ha dichiarato “Non c’è alcuna ipotesi di privatizzazione né della sanità né del suo finanziamento. È da ieri che devo ripondere a domande su qualcosa che non esiste, perché nessuno e meno che mai il presidente del Consiglio Monti ha fatto questo tipo di affermazioni“.

Insomma, la privatizzazione è scongiurata? E dov’è la soluzione? Da chi ha avuto a che fare con il sistema sanitario di altri paesi, ci si trova a sentir dire che in fin dei conti i servizi ricevuti nel Belpaese non sono poi così deprecabili, anche se con sconfortanti differenze tra due fette – Nord e Sud – d’Italia.

Per non parlare delle assicurazioni integrative, di un fantomatico ma pur possibile modello all’americana, insomma, che funziona peggio e costa di più. Per dirla coi numeri, il Ssn italiano ha rappresentato nel 2010 un costo pari al 9,1 % del Pil contro l’11,5 % della Francia, l’11,2% della Germania e il 16,6% degli Stati Uniti. Aggiungendo alla spesa pubblica per la sanità anche i costi sostenuti privatamente, in media in Italia nel 2009 sono stati spesi 3.020 $ per ogni cittadino, contro i 3.872 in Francia, i 4.072 in Germania e i 7.895 negli USA. Sempre nel 2009 l’Italia è stata preceduta, per la spesa pro capite in sanità anche da Svizzera, Norvegia, Lussemburgo, Danimarca, Canada, Austria, Belgio, Irlanda, Svezia, Islanda, Australia, Regno Unito, Finlandia, collocandosi sotto la media di spesa pro capite dei paesi dell’OCSE.

Finalmente il Presidente del Consiglio ha toccato un tasto dolente, ammettendo che il sistema sanitario, esattamente come quello pensionistico, rischia il default.

Allora si convincessero che si dovrebbe perseguire la maggiore efficienza possibile, mantenendo inalterata la struttura del sistema, ben più efficace di quelli di altri paesi, e imporre tagli dover le spese sono decisamente over size.

Un esempio? Ignazio Marino, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn, a tale proposito è chiaro: “dirigenti sanitari hanno operato male, sperperando i soldi pubblici e accettando di pagare una protesi per l’anca anche 2.800 euro anziché 250 euro; ricoveri inappropriati per interventi chirurgici programmati, con cui si buttano dalla finestra 1000 euro al giorno per ciascun paziente; Regioni come il Lazio ricoverano quasi 3 giorni prima dell’intervento e in alcune aree del Mezzogiorno si arriva addirittura a 5 o 6 giorni. Mi aspetto poi – conclude – l’accorpamento dei cinque centri di trapianto di fegato di Roma dato che nessuno è riuscito a raggiungere il numero minimo per mantenere aperto il servizio, mentre a Torino ce n’è soltanto uno ad eseguire quasi il doppio di trapianti“.

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Giornalista pubblicista, classe 1977, laurea con lode in Scienze Politiche, un master in Responsabilità ed etica di impresa e uno in Editing e correzione di bozze. Direttore di wellme per tre anni, scrive per greenMe da dieci. È volontaria Nati per Leggere in Campania