Linguaggio, socialità, attenzione sono i misteri della crescita. Gli scienziati hanno pubblicato numerosi studi su questi temi, tuttavia l’origine e il meccanismo che permettono al bambino di imparare a parlare sono sempre sfuggiti.
Yasuhiro Kanakogi dell’Università di Kyoto in Giappone ha pubblicato uno studio molto interessante sul tema della causalità e della percezione del bene e del male. Questo è stato riportato sull’ultimo numero della rivista scientifica internazionale online Plos One.
La causalità è uno dei problemi che la psicologia e il cognitivismo hanno affrontato per anni. Le scuole di pensiero sono state sostanzialmente due:
- una dello studioso belga Michotte, secondo il quale la causalità è legata al tempo. Se un cerchio rotolando provoca lo spostamento dell’altro è relazionato al primo da un nesso di causalità ma noi lo percepiamo per la contiguità tra la figura del primo cerchio che rotola e la figura dell’altro che si muove interconnesse dal tempo;
- l’altra di David Hume, secondo cui, la causalità è basata sull’osservazione ma soprattutto sul ragionamento fatto su di essa. Quindi sul cerchio che sposta l’altro c’è un ragionamento causale e non una temporalità che favorisce la percezione immediata del nesso.
Tuttavia, su quando la percezione della causalità nasce e su come si sviluppa, c’è ancora un dibattito aperto.
Secondo il recente studio giapponese, il bambino percepirebbe già all’età di dieci mesi il nesso della causalità. Non solo: se vede una scena quale può essere un’enorme cubo che insegue una palla blu, capisce che c’è qualcuno che dà la caccia (il cubo) e qualcun altro che è vittima di questa caccia (la palla).
E quello che stupisce di più è che il bambino prova empatia e senso di giustizia proprio per la vittima che tenta di consolare, magari prendendola con le manine. Insomma, stare dalla parte del debole, forse non è, come si pensa, una sovrastruttura razionale montata per ‘piacerci’ ma un istinto quasi primordiale.