Solo un paio di dosi di cocaina possono modificare la composizione della parte del cervello associata al processo decisionale basato sulla memoria. È quanto sostiene un team di ricercatori della Ernest Gallo Clinic and Research Center della UC San Francisco.
Quasi immediatamente, i topi ai quali erano state somministrate dosi di cocaina hanno sviluppato nuove spine dendritiche, le stesse deputate a formare sinapsi e creare nuove connessioni. I topi, di fatto, avevano appena ricevuto una soluzione salina. L’esperimento è stato riportato sulla rivista Nature Neuroscience. “Il fatto che la cocaina sembri ricablare i centri direzionali con una dose è abbastanza scioccante“, ha dichiarato Linda Wilbrecht, ricercatrice di neurologia per l’UC Berkeley. “Non è che si sono formati durante la notte, mentre il topo dormiva. Essi, in realtà, si sono formati entro le due ore dall’assunzione di cocaina“.
Gli esperimenti successivi hanno suggerito che le nuove spine fossero correlate con quello che sembrava essere un comportamento tossicodipendente: data una scelta, i topi con le nuove spine neuronali si avviavano verso la sala dove era presente la cocaina. In termini scientifici, hanno mostrato una “conditioned place preference”, ossia una preferenza condizionata per la camera dove hanno assunto la cocaina, oltre quella in cui avevano ottenuto la soluzione salina. “Quelli che hanno sviluppato il più grande cambiamento nella preferenza per la cocaina erano anche quelli ai quali erano cresciute maggiormente le spine dendritiche“, ha confermato la Wilbrecht.
Tale risultato suggerisce che la nuova popolazione di cellule può aver formato memorie associative guida verso decisioni comportamentali. Il gruppo di ricerca ha utilizzato topi geneticamente modificati con un marchingegno inserito nei loro crani, consentendo ai ricercatori di visualizzare le nuove cellule che si illuminano al microscopio. Sebbene i cambiamenti nella formazione dei nervi e nella struttura della corteccia cerebrale dopo l’uso di cocaina sia stata dimostrata, osservarli in una situazione “live” grazie a questo tipo di microscopia è stato davvero interessante, ha spiegato il neuroscienziato Hans Crombag, dell’University of Sussex.
Il topo, però, non ha la struttura cerebrale complessa tipica dell’Homo Sapiens, ma condivide numerose delle nostre caratteristiche neurobiologiche, tanto da essere un modello molto diffuso e utile negli esperimenti. E alcuni dei risultati dello studio sembrano rispecchiare l’imaging fatta sul cervello dei tossicodipendenti umani. Ancora, “si tratta solo di una correlazione“, ha precisato Wilbrecht. “Ci possono essere altri fattori come l’eccitazione” a modulare il comportamento apparente.
Ulteriori studi, dunque, potrebbero condurre verso nuove terapie, volte al ri-condizionamento o ad interrompere i circuiti che alterano il comportamento. Il gruppo di ricerca è interessato a vedere cosa succede quando i topi hanno la possibilità di somministrarsi da soli il farmaco e ad esaminare in che modo gli effetti potrebbero essere diversi nel cervello dei topi di varie età e di diverso sesso.
Federica Vitale
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