L’esposizione e l’assorbimento dei metalli pesanti da parte dell’organismo può favorire l’insorgere di diverse malattie. Molti studi stanno esaminando le correlazioni tra i percentili di presenza dei metalli nel corpo umano e la causa di alcune patologie. Qualcosa si sa di piombo e mercurio soprattutto rispetto a certe patologie oncologiche, ancora molto poco si sa, invece, del cadmio.
Una recente ricerca, svolta dall’Johns Hopkins University School of Medicine e condotta nell’ambito del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III), in un esperimento che coinvolge più di 12mila persone ha correlato la presenza di cadmio nelle urine ad alcune malattie del fegato.
Le analisi delle persone, rispetto al cadmio nelle urine, sono state suddivise in quattro livelli di percentile. Alla classe del percentile più alto è stata riconosciuta la più concreta possibilità di ammalarsi al fegato. Il cadmio, infatti, farebbe proprio il lavoro di ostruire le proprietà sintetiche del fegato, in particolare favorirebbe il deposito e l’accumulo dei grassi e non faciliterebbe il filtro delle tossine dal sangue. Così il fegato in preda a queste ostruzioni sarebbe ben più esposto alle tipiche malattie di chi beve o fuma.
Ad avere livelli alti di cadmio nelle urine sarebbero soprattutto gli uomini e questo perché gli ormoni femminili avrebbero un’importante funzione protettiva. Tuttavia, combattere la presenza dei metalli pesanti nell’organismo, oggi è possibile, grazie alla cosiddetta “terapia di chelazione” che si occupa proprio di rimuovere i depositi, una volta accertata un’esposizione abituale o cronica.
Tuttavia, queste terapie vanno di pari passo alla ricerca, che soprattutto per un metallo come il cadmio, è ancora molto indietro. In sostanza, è stata dimostrata finora solo questa correlazione con le patologie epatiche. E se si conoscono poco le dinamiche e le correlazioni tra i metalli e certe malattie, i tempi per una terapia si allungano notevolmente.
Sara Tagliente
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