Cosa si nasconde dentro i cosmetici che compriamo? Per saperlo non occorre essere chimici o cosmetologi: ce lo dice l’INCI. Nomenclatura Internazionale degli Ingredienti nella Cosmesi, ovvero l’etichetta che contiene, per legge dal 1997, la lista degli ingredienti presenti nella formulazione.
Imparare a leggerla ci aiuta a diventare consumatori responsabili per il proprio corpo e per l’ambiente, visto che vi sono infatti elencati, in ordine decrescente, i componenti del prodotto in base alla loro quantità.
Così si possono evitare tutte quelle sostanze chimiche regolarmente e abbondantemente utilizzate nei prodotti di uso quotidiano, che possono provocare gravi danni per la salute del nostro organismo e per quella del nostro pianeta.
La prima sostanza indicata, quindi, è quella in percentuale maggiore.
Per questo “occorre sempre leggerla attentamente: può riportare delle sostanze che, anche se presenti in scarsa quantità, non solo non sono in grado di dare un reale beneficio alla cute, ma possono essere dannose”
spiega all’Ansa Raffaella Gregoris, ricercatrice specializzata in chimica cosmetica all’Università di Milano.
Di solito si tratta di ingredienti “che vengono spesso usati- continua l’esperta – perché più economici e apparentemente performanti. Quelli da evitare sono circa una ventina perché molti di questi, pur agendo a livello superficiale, possono penetrare più in profondità”.
Gli ingredienti più rischiosi sono:
- i conservanti come parabeni, imidazolidinyl urea, kathon, BHA, BHT e triclosan,
- i tensioattivi schiumogeni (SLS, SLES),
- gli emulsionanti (DEA, MEA, TEA, PEG, PPG),
- i siliconi,
- i derivati del petrolio,
- l’alcool,
- i coloranti.
“Sono sostanze che possono facilmente irritare la pelle, essere occlusive, creare allergie o addirittura alcune di esse, in associazione ad altre, liberare nitrosamine o formaldeide, che sono riconosciute come cancerogene”
aggiunge Gregoris.
Poi c’è il nickel, agente inquinante che può entrare a far parte di un qualsiasi prodotto durante la sua fabbricazione.
“Scrivere che un prodotto non lo contiene è soltanto una questione di marketing: per legge non può far parte degli ingredienti, visto che non è un ingrediente – precisa la ricercatrice – la normativa prevede che in generale ogni produttore applichi regole di buona fabbricazione perché il nichel sia presente al minimo. La scritta nickel tested certifica solo che sia contenuto al di sotto di un certo valore di parti/per milione ma non completamente assente. Per questa ragione oggi non è possibile scrivere ‘nickel free’ ma solo ‘nickel tested'”.
È bene sapere, inoltre, che nelle etichette gli elementi vegetali naturali, che non subiscono processi chimici, vengono indicati con il nome botanico in latino, mentre le sostanze sintetiche sono segnalate con il nome in inglese.
I componenti presenti in quantità minore dell’1%, udite, udite, possono essere inseriti in ordine sparso, a seconda delle politiche di marketing del produttore, che può privilegiare un aspetto piuttosto che un altro. Occhio, infine, anche alle altre certificazioni: non è detto che un prodotto cosmetico con un buon INCI rispetti la natura e sia cruelty free (ma questa è un’altra storia).
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Il consiglio: la rete offre tantissimi punti di riferimento e guide per aiutare i consumatori.
Dei buoni esempi sono saicosatispalmi, Carlita dolce, o l’angolo di Lola.
Un valido aiuto per capire l’INCI viene anche dal Biodizionario.it, che raccoglie oltre 5000 sostanze di largo utilizzo. Redatto da Fabrizio Zago, chimico industriale e consulente Eco-Label, presenta pallini di diversi colori a seconda della pericolosità dei componenti di shampoo, dentifrici, bagnoschiuma, profumi, ecc.
Se conoscete l’inglese, infine, meglio dare un’occhiata a Skindeep, che a ogni ingrediente dà un numero da 1 a 10, con tanto di studi che spiegano il perché della votazione data. Insomma, questi sono gli strumenti a nostra disposizione.
Ora è arrivato il momento di aprire gli occhi.