Siamo ciò che mangiamo. Se ciò fosse vero, saremmo tutti dei moscerini, mosche o dei topi. Perché? Farina, pane, pasta, cacao, caffè e anche marmellate, cibi che mangiamo ogni giorno, contengono frammenti del corpo di insetti, dalle ali alle zampe, passando per le corna, che finiscono nei prodotti alimentari durante il processo di lavorazione.
E c’è di peggio: all’interno dei nostri cibi ci sono anche elementi contaminanti come peli di topo e di ratto e loro escrementi, vermi e larve di insetto, inquinamenti da escrementi umani e animali.
Nella terminologia tecnica inglese si chiamano “Filth”, letteralmente “sudiciume”, e sono le impurità solide degli alimenti provenienti da inquinamenti accidentali di origine minerale e vegetale, materiali estranei che, a causa della loro ripugnanza, non sarebbero consapevolmente mangiati o usati, indifferentemente dal fatto che il danno alla salute possa essere dimostrato. Stimarne la loro quantità è difficile, soprattutto perché in Italia e, più in generale, in Europa non esistono limiti massimi per la loro presenza nei cibi.
Nonostante le “impurità solide” abbiano un preciso significato sanitario, non ci si è di fatto molto preoccupati di normalizzare questo importante aspetto della qualità dell’alimento.
“In questo senso – spiega Raimondo Cubadda del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari e Microbiologiche, dell’Università degli Studi del Molise – non solo sono carenti precisi riferimenti legislativi ma mancano gli standard o specificazioni dei prodotti e solo di recente si. È provveduto a ufficializzare un metodo d’analisi. Si può anzi affermare che l’attenzione verso questi problemi si è destata soprattutto a seguito delle contestazioni di prodotti europei importati in Canada o negli Stati Uniti, giudicati non accettabili sulla base delle norme ivi esistenti“.
Negli Stati Uniti, infatti, le industrie alimentari, farmaceutiche e cosmetiche sono soggette alle norme del Food Drug and Cosmetict Act risalente al 1938, il rispetto delle quali viene sorvegliato dalla USFDA. Due commi di questa legge si occupano della “purezza” dei generi alimentari. Essi stabiliscono che un “alimento” è da considerarsi adulterato se è stato preparato, confezionato o conservato in condizioni non igieniche, per le quali può essere stato contaminato da impurezze “(filth)”. Oltreoceano, infatti, gli alimenti possono generalmente contenere al massimo 50 frammenti di insetti in 50 grammi di prodotto. Il metodo ufficiale per l’individuazione dei pezzettini di insetti è il “filth test”, in cui un campione dell’alimento, predigerito in ambiente acido, è sottoposto a trattamenti che isolano le impurità.
Questa “sporca” e orripilante questione è però ben nota alle autorità sanitarie italiane: l’Istituto Superiore di Sanità l’ha affrontata con il documento “Impurità solide negli sfarinati e nei prodotti di trasformazione: metodo ufficiale di analisi (filth-test) e aspetti normativi” (qui scarichi il Pdf), in cui si valuta come “modello” proprio la rigorosa legge americana. Insomma, se istintivamente la qualità di un alimento viene associata ad una idea di bontà, eccellenza, e termini come genuinità, freschezza, tipicità, essa dovrebbe essere intesa nel senso di “qualità globale”, volendo con tale termine non restringere il campo alle proprietà organolettiche dell’alimento, ma fare soprattutto riferimento alle sue caratteristiche igienico-sanitarie o di sicurezza d’uso.
Perché il pensiero di mangiare abitudinariamente frammenti o escrementi di insetto, peli dei roditori &Co. inorridirebbe chiunque.
Ma non abbiamo bisogno di aspettare che le normative vengano migliorate. Non dobbiamo aspettare che qualcuno fissi il limite a “50 frammenti di insetti in 50 grammi di prodotto” anche nel Bel Paese. Non dovremmo accontentarci del “meglio del peggio”. L’alternativa c’è già ed è l’autoproduzione. Iniziare ad a autoprodurre non significherebbe solo limitare i costi ambientali delle proprie scelte di consumo, ma anche controllare ciò che mangiamo, dando vita a prodotti più sani e più buoni.
Sono molti i prodotti che si possono autoprodurre, dallo yogurt al pane, dalle marmellate al dado vegetale. Ma anche verdura sott’olio, ricotta, formaggio, crema alle nocciole, limoncello. Tutto quello che volete, basterà lasciare spazio alla fantasia. Così, attraverso la realizzazione amorevole di cibo fatto con le nostre mani, preparato con cura per le persone che amiamo, possiamo scongiurare l’ingurgitazione inconsapevole di schifosi insetti e quant’altro contenuto nei cibi industriali!
Roberta Ragni