Non esiste il manuale del genitore perfetto così come non esiste alcuna formula magica per essere un bravo padre.
C’è solamente l’affetto, la disponibilità, la consapevolezza e la dedizione che un uomo può offrire al proprio figlio.
“Sei un buon papà?” prende vita proprio da questa premessa e soprattutto dall’importanza che la figura paterna ha assunto negli ultimi anni, rivelandosi fondamentale nell’educazione dei figli.
Tiziano Loschi, autore del libro e docente presso l’Università di Modena e Reggio, prende per mano il lettore e lo accompagna anzitutto in un percorso di conoscenza di se stesso, aiutandolo ad individuare la sua identità. Lo porta poi a scoprire il ruolo fondamentale della sua presenza accanto al figlio, illustrandogli le varie modalità per favorirne lo sviluppo.
Non mancano infine le indicazioni operative – il che cosa fare e come fare – utili al papà per svolgere positivamente le sue funzioni nel riconoscimento e nel rispetto del figlio come persona, soprattutto nei momenti più difficili della sua crescita. Consigli pratici che lo aiutano ad essere e fare anche un padre autoritario, a vantaggio del figlio stesso.
Punto di forza di questo libro è sicuramente il fare narrativo con cui l’autore si addentra nei vari argomenti, trattati con assoluta competenza ma con un linguaggio non troppo accademico. In queste 200 pagine, l’esperienza di un padre e la professionalità di un uomo a servizio di tutti i papà, presenti e futuri.
Tiziano Loschi. “Sei un buon papà? – Consigli per diventarlo”. Edizioni Erickson, € 15,50. Una lettura per tutti i papà, per seguire e accompagnare efficacemente i propri figli dal periodo prenatale all’adolescenza.
Noi di Wellme.it abbiamo incontrato l’autore – suo anche “Mio figlio sarà intelligente” (Edizioni Erickson) – per farci dare delle anticipazioni e toglierci qualche curiosità.
WM: Professor Loschi, come nasce l’idea di scrivere “Sei un buon papà?”
TL: L’idea di scrivere “Sei un buon papà?” è nata dagli incontri con le famiglie presso le scuole dell’infanzia e dei nidi che ho fatto per parecchi anni, incontri nei quali mi ritrovavo con diversi padri in difficoltà perché dovevano assolvere anche alla funzione della madre. Di conseguenza ho pensato che fosse giusto dare loro un sostegno, ricorrendo sia alla mia esperienza di papà sia agli studi sulla funzione del padre che ho fatto nel corso di tanti anni.
WM: Si sente spesso parlare del rapporto genitori-figli e di una prevalenza del ruolo di educatrice della mamma, ma qual è secondo lei il quid innovativo che un papà può apportare all’educazione e allo sviluppo di suo figlio?
TL: Il quid innovativo, sia con i maschi che con le femmine, il padre lo può portare soprattutto con la chiarezza dei rapporti. Questo perché il rapporto con la mamma è abbastanza ambivalente: la madre coinvolge sempre sentimento, affettività e ragione perché ha dei legami che sono da cordone ombelicale. Il padre questi legami non ce li ha, il padre si costruisce tale insieme al figlio. E poi ha la funzione, non trascurabile, di mediatore tra lui e la madre: aiuta cioè il figlio a rompere il cordone ombelicale con la genitrice e a cercare la sua autonomia.
WM: Esiste una ricetta magica universale per essere un buon papà?
TL: No: ogni padre è tale con la sua personalità, altrimenti diventa uno stereotipo ed è ridicolo. Esiste però una regola generale, quella di ascoltare il proprio figlio. Secondo me, infatti, uno degli errori che fanno i genitori, sia padri che madri (ma anche gli insegnanti) è quello di pretendere di sapere ciò che è giusto per il loro figlio. Dobbiamo dare fiducia e spazio ai bambini, dobbiamo puntare sulla loro autonomia e sulla loro capacità di diventare progressivamente autonomi.
WM: Qual è secondo lei la tappa più critica della crescita di un bambino in cui si sente necessariamente il bisogno di un padre?
TL: La tappa più critica, secondo me, è il periodo che va dalla fanciullezza all’adolescenza: dai 6-7 anni in poi il bambino sente più il bisogno di una figura paterna, ovviamente presente e attenta. Anche tra i 2 e mezzo e i 5 anni e mezzo, però, un figlio vive un momento particolare: è la fase di opposizione – si oppone alla realtà esterna e qualsiasi cosa gli chiedano i genitori lui dice no – e di antagonismo nei confronti del papà (almeno secondo le teorie freudiane), ed è proprio in questo momento che lui avrebbe bisogno di un modello di padre sereno, capace di seguirlo, cambiarlo e indirizzarlo nel cammino di costruzione della sua personalità. Anche perché dobbiamo sfatare il mito secondo cui sono i genitori che costruiscono la personalità del bambino. Non è così, sono i bambini che costruiscono se stessi. Noi dobbiamo puntare fondamentalmente sulla loro libertà, intesa come autonomia di agire, allargando progressivamente i loro spazi di azione finché son piccoli: questo è in grado di farlo più il padre che la madre, perché quest’ultima tende a tenere il bambino bambino; secondo la favole di Esopo tende a riportarlo dentro l’uovo.
WM: Si sente spesso la frase “io sono amico di mio figlio”: lei crede sia corretto intraprendere una relazione alla pari con il proprio ragazzo?
TL: Io credo sia il più grande errore che si possa fare. Un bambino il suo amico lo trova fuori tra i suoi coetanei, non ha bisogno di trovarlo nel papà. Quindi il padre deve sicuramente essere un modello per il figlio, perché comunque lui fino agli 11-12 anni si orienta nella figura paterna e in un certo senso ne adotta i valori, ma non un amico. Deve essere padre ancor di più dopo i 12 anni quando il ragazzo ha bisogno di affermare la propria autonomia: in questa fase lui deve capire e non ostacolare il figlio; deve capire che un bambino può opporsi in famiglia perché solo così saprà affermare la sua personalità all’esterno. Se il padre è troppo autoritario e la madre troppo protettiva è ovvio che fuori il ragazzo incontrerà delle difficoltà.
WM: Se dovesse dare un consiglio ai nostri papà lettori, cosa si sentirebbe di dir loro?
TL: Consiglierei di stare vicino ai bambini, di ascoltarli e soprattutto di leggere insieme a loro perché la lettura è importante e solo così si riesce a trasmettere il modello di un uomo che legge. È fondamentale che un bambino cominci da subito a considerare i libri come un’opportunità, perché essi aprono gli orizzonti della vita.
WM: Vuole aggiungere altro?
TL: Invito i genitori a concordare i modelli educativi per non creare confusione nei figli e, soprattutto in caso di separazione, a non usare i figli e a non denigrare la figura dell’altro genitore. È importante che i bambini abbiamo la possibilità di mantenere i rapporti sia con la figura materna che con quella paterna perché entrambe sono importanti punti di riferimento. I genitori, si ricordino, che devono fare le scelte importanti per i loro figli.
Fabrizio Giona