allergie primaverili

Allergie, il riscaldamento del pianeta favorisce la diffusione

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Allergici di tutto il mondo tremate! Non bastava l’arrivo della primavera a portare con sé i temuti sintomi delle allergie da polline, cioè raffreddore, tosse e asma, ora sembra che il periodo nero possa allungarsi ulteriormente fino a coprire diversi mesi dell’anno.

Secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani l’aumento della temperatura globale del pianeta potrebbe infatti favorire l’allungamento del periodo in cui si soffre di allergie.

La ricerca, che è stata presentata al congresso annuale della American Academy of Allergy, Asthma & Immology, che si è tenuto a New Orleans i primi del mese di marzo, si basa sulla raccolta dei pollini di quattro piante (betulla, cipresso, graminacee, parietarie e olivi) durante le diverse stagioni, dal 1981 al 2007. Analizzando i dati raccolti in questi anni gli studiosi hanno notato che, nel caso delle parietarie, la stagione dei pollini si è estesa di ben 80 giorni oltre il periodo generalmente incriminato, mentre, per le piante di olivo, la fase tanto temuta tende a cominciare circa 30 giorni in anticipo rispetto al passato.

Insomma, secondo questo studio gli allergici inizierebbero a soffrire dei sintomi collegati alle loro patologie (perché l’allergia è una vera e propria patologia cronica determinata da un’eccessiva risposta immunitaria dell’organismo contro sostanze normalmente innocue) prima dell’arrivo dei primi caldi per terminare molto dopo. Ma non è tutto. Gli esperti hanno anche esaminato il grado di sensibilizzazione ai pollini su un campione di cittadini liguri, nel corso del tempo. Dagli esami dei prick test (i test diagnostici maggiormente utilizzati nella pratica allergologica) è emerso che, con l’aumento del numero di pollini nel corso dell’anno, sempre più persone tendono a mostrare una maggiore tendenza a questo tipo di allergie. Insomma il risultato è chiaro: contemporaneamente con la crescita dei pollini, cresce anche la sensibilità a questo tipo di allergie.

L’incremento della radiazione globale determina un avanzamento della stagione dei pollini e un aumento del periodo di esposizione ai pollini“, ha spiegato il titolare della ricerca dottor Renato Ariano, responsabile dell’ambulatorio di Allergologia presso l’ospedale di Bordighera, in Liguria. Non solo. “Abbiamo osservato un incremento costante della percentuale di soggetti sensibili agli olivi, alle parietarie e al cipresso, mentre la percentuale di soggetti sensibili agli acari della polvere rimaneva costante nel corso dei 27 anni“, ha aggiunto Giovanni Passalacqua, uno degli autori dello studio.

Dunque secondo quest’analisi non solo le allergie ai pollini non sarebbero più confinate alla primavera, ma si estenderebbero anche ad altri mesi dell’anno e sarebbero anche più violente e diffuse. Questo tipo di allergie infatti, a differenza di quelle da acari, che non conoscono soste nel corso dell’anno, hanno un andamento tipicamente stagionale: i sintomi si manifestano cioè solo in un determinato periodo dell’anno, quello corrispondente alla fioritura della pianta a cui il polline appartiene.

Il caso più frequente è quello dell’allergia alle graminacee (erbe la cui fioritura avviene nel periodo da fine aprile a fine settembre) ma negli ultimi tempi si è assistito a un progressivo aumento delle allergie ai pollini di altre specie vegetali. È il caso di alberi cosiddetti “a fioritura precoce” (da gennaio a marzo), come betulla, nocciolo, carpino, ma anche di altre piante, come l’ambrosia (la cui allergia si è andata diffondendo a partire dalle zone vicino agli aeroporti, dove l’erba è stata trasportata “per via aerea”).

In ogni caso è necessario imparare a conoscere le piante e le erbe che liberano i pollini a cui si è sensibilizzati, e i relativi periodi di fioritura. L’andamento della concentrazione pollinica nell’aria varia infatti considerevolmente a seconda del periodo dell’anno, del tipo di polline e della zona in cui si vive. Per questo esistono i calendari dei pollini, di solito realizzati da enti locali (Asl, ospedali, ecc.), ma disponibili anche sul web (ad esempio su www.pollinieallergia.net e www.re-actine.it) che forniscono anche dati aggiornati in tempo reale sulla concentrazione dei pollini nelle varie zone del territorio e “previsioni” a breve termine che possono consentire di personalizzare la gestione dell’allergia.

Ma torniamo alla nostra ricerca. I dati raccolti dal team italiano sono stati anche analizzati da Estelle Levetin, docente di Biologia che presiede la Facoltà di Scienze biologiche presso l’Università di Tulsa in Oklahoma, Usa. I risultati della ricerca, ha commentato la Levetin, hanno mostrano che la stagione del polline si è allungata e i livelli di concentrazione di queste microspore nell’aria sono più elevati rispetto al passato.

Questa tesi, ha continuato la ricercatrice, ha certamente bisogno di ulteriori conferme, perché potrebbe anche essere che i grani del polline stiano diventando sempre più allergenici in quanto le piante sono coltivate con più elevati livelli di anidride carbonica, che poi sono direttamente collegati all’aumento delle temperature della crosta terrestre. L’aumento dell’inquinamento favorisce infatti l’innalzamento delle temperature del globo terrestre, cioè l’incremento dell’anidride carbonica e un ambiente più caldo.

Il che significa che il livello del mare si alza, le calotte polari si sciolgono, gli uragani sono sempre più violenti e, in ultima istanza, le persone fanno più starnuti.

Rosamaria Freda

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