È allarme radioattività in Giappone: dopo la comunicazione dell’Oms, secondo cui l’impatto è più grave di quanto si potesse ipotizzare in un primo momento, quando si riteneva che la loro influenza si limitasse ai 20-30 chilometri nei dintorni della centrale nucleare, ci si interroga sui rischi e sulle strategie di difesa da adottare.
Torniamo allora alla domanda che già ci siamo posti: è possibile difendersi dalle radiazioni? Come fare per non essere contaminati? Le precauzioni da prendere variano in base alla distanza dalle centrali che sono state danneggiate dal sisma. Come chiarisce il direttore del reparto di Radioterapia 2 dell’Istituto dei tumori di Milano, Carlo Fallai “La protezione da forti dosi di radiazioni si ottiene solo con la schermatura a piombo; l’esposizione alla radiazione si riduce con il quadrato della distanza dalla sorgente“.
Diverso dunque il comportamento di chi si trova nei pressi di Fukushima rispetto a quello degli abitanti della città di Tokyo, dove, come dice Riccardo Calandrino, Direttore del Servizio di Fisica Sanitaria dell’istituto San Raffaele di Milano, “il livello di radioattività ambientale, secondo quanto risulta al momento, sarebbe solo di cinque volte superiore a quello che abbiamo a Milano, cioè ancora molto basso“. Calandrino si sofferma a spiegare la funzione dei diversi strumenti di difesa dalle radiazioni: “Le tute bianche, che si vedono nelle fotografie, servono a chi opera nelle zone del disastro per proteggere pelle e vestiti dalla radioattività ambientale. Chi le indossa, quando rientra in un ambiente chiuso deve lasciarle fuori in modo da non contaminarlo e deve anche farsi una buona doccia. Vi sono poi i dosimetri che servono a dirci quante radiazioni assorbiamo e sono una forma di difesa indiretta“.
Vi abbiamo già esposto le ragioni della scelta in Giappone di distribuire pillole di iodio radioattivo alla popolazione (I 131). Il direttore del Dipartimento di onco-ematologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, Franco Locatelli, chiarisce in modo ancora più esaustivo la loro funzione: “le pillole di iodio servono a “saturare” la tiroide di questa sostanza. Questa ghiandola è la più “affamata” di iodio dell’organismo e “ingolfandola” con quello delle pastiglie, si evita che possa captare quello radioattivo dall’ambiente. Ma ai livelli di radioattività che vengono riferiti nei territori distanti dalle centrali non pare una misura necessaria e certamente non è il caso di prenderle oggi in Italia“.
E IN ITALIA?
Veniamo al nostro Paese: quali rischi corriamo in Italia? Calandrino ritiene sia “difficile pensare a una caduta di materiale radioattivo in Europa trasportato fin qui dall’aria“. I pericoli potrebbero derivare dai cibi importati dal Giappone, alcuni dei quali, come abbiamo visto, sono stati contaminati. Per scongiurare questi rischi esistono severi controlli che vengono effettuati dagli ispettori frontalieri e dagli uffici di Sanità Marittima e di Frontiera sugli alimenti di origine animale e non (soprattutto pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde) provenienti dal Giappone. Il materiale da esaminare viene inviato ai laboratori dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana che procedono con tutti i controlli necessari.
Pensando ai nostri connazionali che in questi giorni si trovano in Giappone e che quindi, in maniera più o meno ravvicinata, sono stati esposti alle radiazioni, il Professor Locatelli suggerisce la profilassi da seguire: “Ci si può sottoporre a un normale esame del sangue e poi ripeterlo per alcune settimane per misurare il numero di granulociti, un particolare tipo di globuli bianchi. Si tratta tuttavia di un puro scrupolo perché danni acuti, cioè immediati, al midollo osseo (che produce globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) procurati dalle radiazioni dovrebbero solo riguardare chi è stato davvero vicino al luogo del disastro e dovrebbero essere accompagnati da altri disturbi, come vomito, sanguinamenti eccetera“.
E nel caso malaugurato in cui un soggetto sia stato esposto in maniera massiccia alle radiazioni, riportandone di conseguenza danni consistenti? “In caso di aplasia, cioè “distruzione” del midollo osseo, oggi ci sono specifici fattori di crescita come il G-Csf, che stimola la produzione di granulociti e quindi può in qualche misura compensare il danno. Ci sono anche fattori di crescita specifici per l’eventuale riduzione delle piastrine. Nei casi più gravi si deve invece ricorrere al trapianto di midollo, ed eventualmente all’utilizzo di cellule staminali da cordone ombelicale“.
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Francesca Di Giorgio