È senza tregua l’incubo della composta ma ormai sfinita popolazione nipponica, che deve continuare a fare i conti con nuove scosse di terremoto, che fanno tremare il suolo e devastano gli animi.
E prosegue anche il terrore per la diffusione delle radiazioni a seguito delle esplosioni nella centrale nucleare di Fukushima. Abbiamo già esaminato i rischi per la salute umana che possono derivare dall’assorbimento di radiazioni nucleari presenti nell’atmosfera.
Cerchiamo ora di comprendere in che modo il pericolo di contaminazione sia nascosto anche nei cibi di cui abitualmente la popolazione si nutre. Le radiazioni, infatti, possono entrare all’interno della catena alimentare, provocando in tal modo una trasmissione a catena di radioattività. Effetti devastanti, a seguito di un processo molto semplice: le particelle radioattive contenute nell’atmosfera entrano in contatto con la terra o con l’acqua e di conseguenza con le forme vegetali presenti nei due ambienti di vita. Gli animali erbivori ed i pesci, che mangiano questi vegetali, sono a loro volta contaminati e diventano portatori di radioattività che viene poi trasmessa agli uomini che si cibano di tali animali o dei pesci.
Una reazione a catena, dunque, che arriva a coinvolgere tutte le forme viventi presenti nella zona contaminata dalla nube radioattiva. Il pericolo per gli esseri umani esiste dunque e può interessare non solo gli adulti che consumano la carne di animali o pesci che hanno assorbito radioattività, ma anche i bambini che bevono latte di mucche radioattive. Per i piccoli, poi, il rischio è ulteriormente amplificato dal fatto che le mutazioni genetiche, che rappresentano una delle devastanti conseguenze a lungo termine dell’assorbimento di radiazioni, si verificano con maggiore facilità nelle cellule in formazione piuttosto che in quelle già sviluppate degli adulti.
Quali sono i rischi concreti per il nostro Paese? C’è il pericolo della diffusione di una nuova psicosi alimentare, come quella che coinvolse il nostro Paese all’epoca di Chernobyl? No, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate da Coldiretti “Niente rischi per gli Italiani a tavola – sottolineano i rappresentanti delle imprese agricole – poiché gli arrivi di prodotti agroalimentari dal Giappone sono del tutto marginali per un importo che nel 2010 ha raggiunto solo i 13 milioni di euro, appena lo 0,03% dell’import agroalimentare totale del nostro Paese che nello stesso anno è stato pari a 36.346 milioni. Per altro le importazioni riguardano per ben tre milioni di euro piante e fiori che non sono destinate a fini alimentari, mentre si rilevano arrivi praticamente irrisori, nell’ordine, di semi oleosi, bevande alcoliche, oli vegetali, prodotti dolciari, pesce e thé“.
Sembra tuttavia che i venti stiano spingendo le radiazioni sull’Oceano, e dunque a largo delle coste giapponesi, secondo quanto riferisce Clara Nullis, portavoce dell’OMM, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che ha sede a Ginevra. Ciò farebbe ben sperare sul possibile allontanamento dell’incubo, ma purtroppo, come sottolineano dall’OMM, i venti possono repentinamente cambiare la loro traiettoria.
Francesca Di Giorgio