Non esiste un momento della giornata in cui accendere una sigaretta possa esser considerata un’innocente pausa di relax: il fumo fa male, sempre e comunque, non ci stancheremo di ripeterlo. Gli studiosi hanno tuttavia individuato un periodo di tempo durante il quale cedere al richiamo della sigaretta è ancora più nocivo per la salute: si tratta della mattina, subito dopo il risveglio.
I ricercatori della Penn State University hanno preso in esame circa duemila fumatori: sono stati analizzati campioni delle loro urine per ricercare biomarcatori che indicassero la presenza di carcinogeni determinati dal tabacco. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer, Epidemiology, Biomarkers and Prevention, ha evidenziato che la quantità di tali sostanze, in coloro che accendono la prima sigaretta entro cinque minuti dal risveglio, è doppia rispetto a quella presente nelle persone che iniziano a fumare almeno un’ora dopo aver aperto gli occhi.
Il momento in cui si comincia a fumare rappresenta pertanto un indicatore importante non soltanto del livello di dipendenza dal fumo – tanto più alto quanto minore è il tempo che trascorre dal risveglio all’accensione della sigaretta – ma anche del potenziale nocivo del fumo, dopo il numero di sigarette che vengono accese durante il giorno.
E allora, non è meglio iniziare la giornata con il profumo di latte e caffè e magari anche di una buona torta? Un risveglio sicuramente più dolce, e più salutare. Soprattutto se teniamo conto del fatto che il bilancio delle vittime causate dalle sigarette sembra un vero bollettino di guerra: parliamo infatti di sei milioni di morti l’anno in tutto il mondo, e più di settantamila in Italia, secondo i dati forniti dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità. Cifre importanti, che dovrebbero indurre ad un deciso cambio di rotta, eppure il vizio del fumo sembra veramente difficile da debellare.
Un’indagine condotta dalla Doxa ha rivelato che in Italia i fumatori sono ben il 20,8% della popolazione; si tratta sì della percentuale più bassa degli ultimi cinquanta anni, ma costituita da veri e propri irriducibili della sigaretta, se consideriamo che il 76,2% non è disposto a rinunciare al proprio vizio, né per ragioni di salute, che dovrebbero essere le più importanti, ma neppure per effetto della crisi economica. Anzi: se fosse necessario ridurre le spese, per questa alta percentuale di fumatori incalliti le sigarette sarebbero una delle ultime cose da eliminare dalla lista degli acquisti indispensabili.
Viene da chiedersi: in un’altra lista, quella dei danni provocati dal fumo, quali ulteriori effetti nocivi occorre aggiungere per convincere i dipendenti dal tabacco a gettare nel cestino un pacchetto di bionde, magari anche appena acquistato?
Francesca Di Giorgio