Disturbi alimentari, anoressia, bulimia. Termini ormai entrati nel linguaggio comune, pronunciati quasi con naturalezza.
Termini che invece devono incutere timore e rispetto, perché racchiudono universi di dolore ai quali occorre accostarsi con delicatezza, in punta di piedi. Termini che portano in sé il marchio di una sofferenza profonda, lo nascondono quasi, come nascosta ma lacerante è la guerra che anoressici e bulimici conducono contro se stessi, facendo del proprio corpo il teatro di una battaglia violenta, di una rivolta, e del cibo il simbolo, l’emblema di tutto ciò che rifiutano, che è, per loro, il male.
Uccidendosi, giorno per giorno. Spegnendo, giorno per giorno, le luci sul mondo, rendendone sbiaditi i colori, anestetizzando le emozioni della vita, perché l’unica realtà che conta davvero è la guerra con il cibo. Tutto il resto, tutti gli altri, diventano un contorno che ruota attorno al piatto e alla forchetta. Donare di nuovo i colori alla vita, riscoprire la bellezza, riassaporare il gusto delle piccole e grandi realtà di ogni giorno: gli incontri, gli oggetti, gli abbracci, i profumi.
Un discorso che può sembrare retorico, perché scontato nella vita di chi “sta bene”, ma che assume un valore decisivo, quando sul mondo esterno si è invece scelto di calare un sipario. È possibile tornare a vivere in modo armonico la quotidianità, partendo dalla realtà virtuale? Il tanto discusso e condannato mondo delle tecnologie, può offrire un aiuto alle persone con disturbi alimentari? Può dar loro la possibilità di riprendere contatto con la vita vera, recuperando un sano rapporto con il cibo?
Sì, secondo una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto auxologico italiano, dell’Università Cattolica di Milano, e delle Università di Maastricht e di Mosca, e pubblicato sulla rivista online Annals of General Psichiatry. Lo studio ha coinvolto 10 donne anoressiche, 10 bulimiche e 10 prese come gruppo di controllo, alle quali sono stati mostrati nell’ordine sei piatti reali, posti su un tavolo davanti a loro, diapositive che rappresentavano cibi ed infine un pasto virtuale, attraverso un computer con il quale avevano la possibilità di interagire. Durante tutto l’esperimento venivano monitorati costantemente il battito cardiaco, la conduttività della pelle ed il livello di stress raggiunto.
I risultati hanno dimostrato che il mondo virtuale, nei soggetti affetti da disturbi alimentari, offre stimoli molto simili a quelli prodotti dal mondo reale. Il pasto virtuale, dunque, viene percepito come se fosse reale. “Anche se siamo ancora all’inizio, i nostri dati dimostrano che gli stimoli virtuali sono efficaci quanto quelli reali, e sono più indicati delle immagini statiche nella risposta emotiva, nei pazienti affetti da disordini alimentari“, ha dichiarato Alessandra Gorini dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano. “Poiché l’esposizione reale e quella virtuale stimolano livelli di stress confrontabili, e superiori rispetto a quelli delle immagini statiche, abbiamo concluso che la realtà virtuale può essere sfruttata per fare uno screening, valutare e trattare le reazioni emotive provocate da specifici stimoli nei pazienti che soffrono di questi disturbi“ ha concluso la Dottoressa Gorini.
Tentare dunque di ristabilire un rapporto sano ed equilibrato con il cibo vero, rieducare i sensi a gustare di nuovo con piacere equilibrato i diversi alimenti, partendo da un approccio iniziale con il cibo virtuale. Le realtà problematiche non vanno mai proposte con irruenza; e forse proprio questa forma di accostamento ai pasti mediata attraverso la tecnologia può aiutare a rendere più graduale e meno traumatico il recupero di una corretta relazione con il cibo, nella sua varietà di profumi e sapori caratteristici, e con l’infinita varietà di forme della realtà che nel cibo sono simboleggiate.
Francesca Di Giorgio