Tempi duri per i salutisti dell’alimentazione. Dopo la notizia che frutta e verdura non aiutano contro i tumori (almeno non quanto speravamo), smascheriamo ora, grazie all’intervento dell’Efsa, l’Authority Europea per la Sicurezza Alimentare, un’altra falsa credenza sempre più diffusa: che i cibi arricchiti da particolari sostanze aggiunte (vitamine, molecole, agenti chimici ed elementi vari, spesso accompagnati da strani codici e nomi) siano in effetti equivalenti ai farmaci nella cura dei nostri piccoli-grandi acciacchi cronici.
Insomma, con buona pace della Marcuzzi, il bifidus actiregularis e tutti i suoi parenti sono quasi sempre solo delle promesse, anzi diciamolo meglio: sono dei tarocchi! A fidarsi delle etichette, però, non solo dovremmo guarire da tutti i mali del mondo, ma potremmo perfino diventare ultracentenari, dei veri e propri highlanders del cibo. Si chiama nutraceutica, o pharma food: è l’unione morale e materiale di cibo e farmaci, ma è quello che si dice un matrimonio di interesse, più che fondato sull’amore.
“Difende il cuore”, “riduce il colesterolo”, “aiuta a perdere peso”, “evita l’ipertensione”: queste e altre mirabolanti garanzie campeggiano tronfie sulle etichette dei farmalimenti; e noi le diamo per buone, ma oggi sappiamo che 4 volte su 5 siamo allocchi in trappola. L’Efsa, infatti, ha bocciato ben l’80% dei 400 prodotti esaminati. Un duro colpo anche per le aziende di settore, in espansione come numero (oltre 1.200 in Europa) e come rami di attività, partendo dalle patate al selenio e arrivando fino al riso arricchito col ferro. E difatti la replica dell’Aiipa (l’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari) non si è fatta attendere: a parere delle industrie non è corretto applicare al campo nutrizionale gli stessi criteri scientifici studiati per la ricerca farmaceutica. Insomma, il matrimonio s’ha da fare, ma a quanto pare mancano le basi.
Se la situazione in Europa è al momento abbastanza nera, non si può dire altrettanto degli States, dove non solo il settore dei pharma food va a gonfie vele, ma c’è anche chi ha pensato di associare la vendita degli alimenti salvavita alle altre pratiche del wellness, fondando in Texas il primo supermercato del benessere: un posto rilassante in cui, prima o dopo la spesa farmalimentare ci si può tranquillamente concedere un massaggio, una manicure, un trattamento completo, insomma una vera e propria Spa tra carrelli e corsie.
Si sa, il marketing, come il cuore, ha delle ragioni che la ragione con conosce: evidentemente, dopo il massaggio ci può venire più naturale comprare un omega 3, un flavonoide o un probiotico.
Mangialo che ti fa bene, ci diceva sempre la nonna davanti al nostro categorico rifiuto dei cavolini, colpevoli di spandere quell’odore malefico. Però – oggi lo sappiamo – la nonna aveva ragione: ci facevano e ci fanno bene quei piatti genuini che ci preparava con amore. Oggi, a quanto pare, a fare la parte della nonna sono le grandi multinazionali dell’alimentazione sana o spacciata per tale: ma è chiaro che le multinazionali non possono volerci bene come ce ne voleva la nonna. Il loro obiettivo è l’incasso, è chiudere in attivo. La nonna, invece, a fine mese chiudeva volentieri in passivo pur di averci accontentati.
Marina Piconese