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Mangiare di meno: ecco come si rafforzano vista e memoria

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I ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e della Scuola Normale superiore di Pisa, infatti, dopo 3 anni di ricerche effettuate in collaborazione con l’Accademia dei Lincei, hanno messo in relazione la quantità di cibo che ogni giorno si assume con la capacità del cervello di modificarsi nel tempo reagendo agli stimoli esterni.

Le indagini sono state svolte su un campione di ratti adulti, alimentandoli a giorni alterni e ponendo l’attenzione sui circuiti visivi e sull’ippocampo, una parte del cervello che è alla base dei processi della memoria spaziale.

Spiega Maria Spolidoro, prima ricercatrice, che la plasticità del cervello, la sua capacità di apprendere e memorizzare, è tipica dei cervelli giovani nelle prime fasi di sviluppo, per cui “si riduce durante l’età adulta“. Seguendo però quel regime alimentare, i ricercatori hanno notato che la plasticità cerebrale aumenta, probabilmente perché lo “spirito di sopravvivenza” porta le cavie a “ingegnarsi” per non morire di fame. Ovvio che, in ogni caso, non bisogna esagerare: “La mancanza di cibo eccessiva o prolungata può avere effetti diametralmente opposti, causando un grave stress, e quindi danni enormi, al nostro organismo“.

Ora gli studiosi sperano in nuovi metodi nel campo della riabilitazione dei pazienti affetti da ictus o ischemie. Una delle caratteristiche principali della plasticità, infatti, è proprio il recupero da danni cerebrali di vario genere: “In un futuro potrebbe essere che per i pazienti ospedalizzati e sottoposti a trattamenti di riabilitazione sia previsto anche uno specifico regime alimentare“.

Lo studio pisano è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Communications.

Germana Carillo

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Giornalista pubblicista, classe 1977, laurea con lode in Scienze Politiche, un master in Responsabilità ed etica di impresa e uno in Editing e correzione di bozze. Direttore di wellme per tre anni, scrive per greenMe da dieci. È volontaria Nati per Leggere in Campania