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Depressione in gravidanza: ecco come riconoscerla

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Congratulazioni, sono felicissima per te!” “Che notizia meravigliosa, vedrai, ti cambierà la vita, ma sarà un’esperienza meravigliosa“. Questi alcuni tra i commenti che seguono generalmente l’annuncio dell’attesa di un figlio.

Espressioni di gioia condivisa, di fronte a quello che è da sempre uno degli, se non il più emozionante evento nella vita di una donna. E la futura madre? Sorride, ringrazia, manifesta la propria felicità.

Ma che fare se dietro i sorrisi si cela una sensazione di malessere, di disagio? Si tratta di una condizione della quale si parla sempre troppo poco perché, diciamoci la verità, è scomoda da affrontare. Accettiamo reazioni negative di fronte ad eventi traumatici e dolorosi, ma come pensare che l’idea di aspettare un figlio possa essere fonte di difficoltà psicologiche, fino a causare una vera e propria depressione?

Il silenzio su questo argomento, però, non fa che peggiorare la condizione della futura mamma, chiusa in un limbo di omertà e costretta a manifestare una gioia ed un entusiasmo che non le appartengono. Eppure la depressione che colpisce le donne incinte, come quella più nota, definita post partum, ha conseguenze, anche pesanti, sulla vita del figlio, già nato o in arrivo.

Non trascurare forme di disagio psichico presenti prima della gravidanza, o insorte in seguito ad essa, è la parola d’ordine per tutelare la salute di mamma e bambino. È quanto sottolinea il direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, Claudio Mencacci, secondo il quale “le donne che nel periodo prenatale hanno un assetto psicologico alterato hanno più probabilità di aumentare, anziché di diminuire, le dosi di fumo, di nutrirsi male e quindi di aumentare troppo, o troppo poco, di peso. A questo va aggiunto che stress e ansia durante l’attesa sono associati a un rischio dalle due alle tre volte maggiore di sviluppare disturbi dell’umore nel periodo postnatale“.

LE CONSEGUENZE

Ma le ripercussioni delle condizioni psicologiche alterate della madre si estendono anche al feto, che va incontro al rischio di aborto spontaneo, parto prematuro, ridotta circonferenza cranica, fino a conseguenze che toccano in modo specifico le condizioni neurologiche del bambino stesso, come ad esempio “marcata irritabilità, pianto eccessivo, mimica poco sorridente, ridotta vocalizzazione, coliche più frequenti, aumento dei tempi di addormentamento, alterata reattività.

Durante l’età dello sviluppo si possono presentare perfino ritardo dello sviluppo motorio e mentale, iper-reattività, problemi comportamentali, cognitivi, dell’attenzione, disturbi d’ansia e di regolazione emotiva, sottolinea Mencacci. Una condizione psichica precaria durante la gestazione, tende a persistere, se sottovalutata e non curata, anche dopo la nascita del figlio, andando ad intaccare in modo molto profondo il rapporto mamma-bambino.

L’attenzione materna, le coccole, i sorrisi di colei che per nove mesi è stata il suo riferimento esclusivo, sono indispensabili perché il bambino possa avere uno sviluppo sereno ed armonico. Una donna dall’equilibrio psicologico alterato avrà anche difficoltà a rapportarsi con la sua creatura: il disagio della mamma può tradursi in una tendenza alla scarsa presenza e disponibilità nei confronti del figlio, influendo così negativamente sulla formazione di un sano legame di attaccamento.

Come comportarsi, allora? Il primo consiglio di Mencacci riguarda la prevenzione: il professore suggerisce alle donne che siano consapevoli di avere condizioni di disagio psichico di chiedere aiuto con coraggio per affrontare i propri problemi prima di scegliere di mettere al mondo un figlio. E se questo non è stato possibile? Se si rimane incinta quando ancora non si è raggiunto un equilibrio psicologico stabile, o se è la gravidanza stessa a portare alla luce forme di disagio prima latenti? La risposta è una sola: non nascondere la testa sotto la sabbia, non trincerarsi dietro una cortina di vergogna e false auto-rassicurazioni; “magari sono solo un po’ stanca” non è la frase giusta per guarire. Il primo tipo di intervento è di natura psicologica: una buona psicoterapia può efficacemente aiutare a risolvere condizioni di malessere psichico. Mencacci sottolinea però che “nei casi più gravi, c’è anche la possibilità di utilizzare terapie farmacologiche alla luce del fatto che il mancato trattamento ha conseguenze sul benessere fisico e mentale della donna e del feto peggiori di quelle che si temono dai farmaci”.

Il presupposto fondamentale è quello di voler guarire: scegliere di star bene e, di conseguenza, di far star bene il figlio che si porta in grembo. È il più grande regalo che potete fare, a voi stesse come donne e alla vostra creatura.

Francesca Di Giorgio

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