Non è facile gestire capricci, urla e collera dei bambini. Spesso, ridimensionando il loro diritto (sacrosanto, anche se sono piccoli) a essere arrabbiati, perdiamo la pazienza, cadendo nella trappola dei loro capricci alzando le mani oppure finendo con l’accontentarli. Nulla di più sbagliato. La frustrazione del bambino deve essere lasciata sfogare e bisogna spiegargli, a qualsiasi età ma in maniera diversa, il perché dei ‘no’ e dei ‘non si può’.
Una recente ricerca del Dipartimento di psicologia dell’Università della Pennsylvenia ha dimostrato, infatti, che uno dei modi per insegnare ai bambini a gestire le frustrazioni è verbalizzare, parlare, discutere. Da un esperimento condotto su bambini nella fascia d’età compresa tra 18 mesi e 4 anni, è emerso infatti che maggiore era lo sviluppo del linguaggio e maggiori potevano essere le possibilità di reagire positivamente a ordini dei genitori decisamente frustranti (pensate che uno di questi consisteva nel fare attendere un ‘tot’ di tempo il bambino prima di scartare un regalo).
Ebbene, nei bambini in cui la capacità di esprimersi attraverso il linguaggio era ben sviluppata, le capacità di autocontrollo erano maggiori. La verbalizzazione e la possibilità di ‘dire’ il proprio disagio era fondamentale nella gestione delle emozioni. In situazioni di disagio sociale oppure laddove i genitori dimostrano di dare molta importanza, anche nei discorsi tra adulti, alle cosiddette ‘sane’ botte, il bambino, anche inconsapevolmente, dà più importanza agli impulsi che alla razionalità.
La rabbia infantile-e questa ormai è una scoperta scientifica acclarata- non va mai negata, né favorita. Semplicemente, bisogna che trovi uno sfogo secondo il temperamento del bambino. Essa è una scarica di energia positiva che i genitori scambiano per qualcosa di negativo da evitare. Come non devono essere evitati i ‘no’, quelli che aiutano a crescere. Mai pensare che evitare situazioni di frustrazione al bambino voglia dire farlo crescere sereno. In realtà, un bambino che non conosce i ‘no’ sviluppa un ‘io’ fragile, convinto di essere onnipotente. Un io che prima o poi si scontra con la realtà, trovandosi davanti a frustrazioni ben più significative.
Verso i sei e sette anni i bambini sviluppano abilità cognitive che servono a loro per capire come comportarsi nella società. Prima, non ce le hanno. Ma non è che non provano emozioni. Per cui, se gli adulti li accompagnano con delicatezza in questa fase di passaggio dalla frustrazione alla razionalità, il passaggio alla scuola primaria e i primi anni di studio saranno più sereni e semplici.
Sara Tagliente
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