La corsa alla carriera taglia fuori le donne che decidono di concedere spazio alla famiglia e alla maternità: i posti più in alto nella scala gerarchica del potere sono destinati a coloro che hanno dedicato ogni minuto del loro tempo al lavoro. Capita così che viene ritardato di tanto il momento della prima gravidanza e spesso le conseguenze sono davvero pesanti.
Le ultra quarantenni, si sa, hanno ridotte possibilità di restare incinte a causa di fattori biologici che si trasformano nel corso degli anni: se a 23 anni un’ovulazione diventa una gravidanza nel 28% dei casi, a 39 anni nel 14%, a 40 nel 12%, a 42 nel 10% e a 43 soltanto nell’8% dei casi. Gillian Lockwood sulla rivista scientifica Reproductive BioMedicine Online ha aggiunto che il 35% delle donne quarantenni rischia di non avere figli quando comincia a cercare una gravidanza in modo naturale.
Per risolvere questo problema e garantire anche alle donne in carriera e alle ultra quarantenni di vivere la gioia della maternità si è pensato di utilizzare la tecnica del social freezing che, come dice Paolo Emanuele Levi Setti, attraverso il congelamento degli ovociti “libera la donna dal giogo dell’età e pareggia i conti con gli uomini“. Ma il responsabile del dipartimento di Ginecologia dell’Humanitas e professore aggiunto alla Yale University non ama il termine social freezing: “Ha in sè una connotazione negativa, fa pensare a un vezzo, al capriccio di persone ricche e straviziate che si concedono come benefit la possibilità di avere o rimandare nel tempo una gravidanza. Qui non si tratta né di social drinking né di happy hour. A mio avviso è una opportunità in più“.
Il professore quindi consiglia di cambiare il modo in cui si considera questa tecnica ginecologica: “Vorrei che diventasse una forma di prevenzione primaria della infertilità futura. Perché per la maggior parte delle donne che decidono di avere un figlio dopo i quarant’anni e non ci riescono, se prima non hanno congelato i propri ovociti l’unica alternativa è la donazione dei gameti femminili. Deve farci riflettere il fatto che arrivi dall’Italia il 40-50 per cento delle coppie europee che si rivolgono a centri specializzati nella ovodonazione“.
Il trattamento ha notevole successo in America dove costa circa 15mila dollari. Nel nostro paese invece si è ancora nella fase conoscitiva di questa metodologia eppure i costi non sono tanto elevati. Si parla infatti di una tariffa di 3-4 mila euro per il congelamento dei gameti femminili. Andrea Borini, presidente della Società italiana di preservazione della fertilità, ha spiegato qual è la situazione italiana: “Da noi è in una fase embrionale. Nel nostro centro a Bologna abbiamo congelato gli ovociti di una trentina di donne con questo specifico obiettivo, soprattutto straniere. Ma per dare un parametro di riferimento, trattiamo circa tremila pazienti l’anno“.
In realtà il social freezing può essere utile anche per le donne che si sottopongono a chemioterapia per salvaguardare la loro possibilità futura di avere figli e, come ha detto il professor Levi Setti: “Andrebbe raccomandato anche alle fumatrici; a chi ha avuto cisti ovariche; ha in famiglia precedenti di menopausa precoce; già in partenza fa i conti con un’ovulazione più debole“.
Ma bisogna fare molta attenzione all’età entro cui ci si sottopone a questo trattamento: in ogni caso non bisognerebbe oltrepassare i 35 anni. Eleonora Porcu, responsabile del servizio di infertilità e Pma del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, ha detto: “Dissuado chi viene da me a 43-45 anni. Gli ovociti dopo i 35 anni hanno chance limitate. E non si tratta comunque di una passeggiata: non è come mettere da parte una ciocca di capelli. Bisogna sottoporsi a un trattamento ormonale, che può avere effetti collaterali; c’è un intervento chirurgico, che per quanto poco invasivo necessita comunque di anestesia“.
Ci sono però delle serie ombre nei confronti del massiccio uso del social freezing per le donne statunitensi sane che posticipano la maternità solo per la carriera. La Porcu infatti, alquanto delusa, ha detto: “L’ennesimo adeguamento a ritmi biologici maschili. Non mi sorprende che la spinta arrivi da New York, metropoli dove c’è una feroce rincorsa degli obiettivi e la scelta di posticipare la maternità serve solo a conquistare un piccolo posto al sole in una realtà maschilista e maschile. Altra cosa è congelare gli ovociti nelle donne col cancro, che con questa tecnica hanno già cominciato ad avere bambini nel mio centro Pma. Ma per le sane, confinare in laboratorio la dimensione procreativa, come evento artificialmente riprodotto rispetto alla naturalità, è una evoluzione del costume che non so se valga la pena di incentivare senza inquietudine”.
In realtà i dubbi e le perplessità sul social freezing e quindi sul congelamento delle cellule uovo fa scatenare il dibattito tra coloro che trovano questa metodologia una forzatura incredibile nei confronti del naturale ritmo biologico: forse bisognerebbe porre dei paletti all’utilizzo del social freezing destinandolo solo alle pazienti che, per problemi di malattie, possono correre il rischio di non poter avere più figli.
Lazzaro Langellotti