È stato approvato dalla Commissione Europea l’uso, in combinazione con la chemioterapia standard, del farmaco bevacizumab nelle donne affette da carcinoma ovarico in stadio avanzato.
Un momento definito “storico” da esperti del settore, dopo 15 anni in cui il trattamento di questo tumore ginecologico era stato affidato solo a chirurgia e chemioterapia. Il bevacizumab è il primo farmaco biologico che “entra” nella terapia del cancro ovarico: esso migliora notevolmente la qualità di vita di donne che scoprono la malattia in stadio avanzato. Il cancro avanza molto più lentamente e, grazie alla somministrazione monoterapica del bevacizumab, si riesce a inibire la formazione del VEGF, la proteina responsabile dello sviluppo di ascite nell’addome e del generale peggioramento della malattia
Il carcinoma ovarico è in assoluto il tumore ginecologico più mortale. È anche il più subdolo, perché completamente asintomatico e silente nei mesi di formazione. Lo si scopre troppo tardi- questo il motivo dell’alta mortalità- spesso solo quando lo stadio è avanzato. Non ha avuto, purtroppo, lo stessa campagna comunicativa del tumore al seno che ha portato a risultati positivi.
Tante donne credono ancora che il tumore alle ovaie possa essere diagnosticato con il pap-test, esame utile, sicuramente, ma per la diagnosi del tumore alla cervice uterina. In realtà il carcinoma ovarico richiede un esame pelvico, un dosaggio del marcatore CA-125 e un’ecografia transvaginale: chi ha situazioni di famigliarità (madri, sorelle, nonne affette da questo cancro) dovrebbe fare questi esami due volte all’anno. Tutto perché questo cancro ha anche un altro tremendo aspetto negativo: è velocissimo nell’invadere altri organi sani. Pensate che , rispetto ai 12-24 mesi di fermo al primo stadio degli altri tumori, il carcinoma ovarico può passare alla fase di metastasi già dopo otto mesi.
In realtà, tante donne vanno la prima volta dal medico quando hanno già uno sversamento ascitico nell’addome (si tratta della metastasi al terzo stadio del carcinoma ovarico): nella maggior parte di questi casi, l’aspettativa di vita può, nelle più ottimistiche previsioni arrivare a 4-5 anni, con chirurgia e chemioterapia. Solo con un po’ di impegno nella diagnosi si può guarire (si può fare, abbiate fiducia) da questo cancro. Soprattutto, bisognerebbe dedicare a questo cancro femminile, la stessa potenza comunicativa che è stata data al cancro al seno. Informare per preparare le donne alla diagnosi precoce e rendere anche questo tumore molto meno letale.
Sara Tagliente