Basilio Petruzza, giovane scrittore siciliano, ormai romano d’adozione, ha appena pubblicato il suo terzo romanzo. Dopo Frantumi e La neve all’alba (che tratta il delicato tema della pedofilia), oggi è la volta di Esistiamo per non perderci, un libro intenso e toccante, che racconta una storia molto particolare. Noi di wellMe abbiamo chiesto a Basilio di parlarci del suo nuovo lavoro e non solo (clicca qui per leggere il primo capitolo del libro gratuitamente).
Basilio, parlaci di Esistiamo per non perderci. Sappiamo che il tuo libro ha una struttura particolare, perché inizia dalla fine.
In qualche modo è vero, inizia da uno spartiacque. È il 21 marzo, la protagonista, Barbara, dà al mondo sua figlia Luce e muore. Marcello, l’altro volto di Esistiamo per non perderci, nonché voce narrante di tutta la storia, ha il ruolo complesso e determinante di accogliere Luce e insegnarle a non diventare un rimpianto. È una parte complicata, quella che gli spetta, una parte a cui non si arriva preparati, forse sono predisposti, ma a vent’anni non lo sai ancora. A quell’età, però, hai dalla tua l’incoscienza, la voglia di rivalsa, la furia della rabbia, l’amore non è ancora mortificato dalla disillusione. Quella tra Barbara e Marcello non è una storia d’amore usuale, ma un rapporto di amicizia profondo, un bene totalizzante, viscerale, appagante. Si conoscono, si raccontano, scoprono di portare addosso il peso di due famiglie monche, difettose, ma capiscono ben presto di aver sempre reagito in maniera opposta a dolori simili. Luce, la figlia che Barbara darà al mondo prima di morire, insegnerà loro a rispondere al dolore allo stesso modo.
Luce, quindi, è la loro rivincita…
Non proprio. Quello che vogliono è che Luce non diventi la conseguenza delle loro storie, di ciò che hanno subìto. Si chiama Luce perché ha rischiarato alcune verità sofferte, quindi è un punto di partenza, non una destinazione; non è la storia di qualcun altro, è il suo stesso destino che mette le radici in un dolore, ma sa di poter fiorire altrove. Barbara e Marcello sono giovani, ma una cosa l’hanno imparata in fretta: i figli non devono diventare mai il riscatto di un genitore, perché se un riscatto fallisce, diventa in fretta frustrazione. È sempre meglio non correre il rischio.
Sui tuoi social, per raccontare Esistiamo per non perderci, hai detto una frase molto forte: Barbara e Marcello sono due destini che diventano uno solo e scavalcano persino la morte.
Sì, perché di fatto racconto la vita dopo la loro vita insieme. Racconto quello che resta, le promesse da mantenere, i ricordi da custodire senza lasciarsi vincere. Esistiamo per non perderci è come camminare su un filo, a cento metri d’altezza, sapendo che sotto ci sono le lusinghe del passato e il timore del futuro. Marcello trema, arranca, guarda in basso, ma non dimentica nemmeno per un istante la promessa fatta a Barbara. E quella promessa è il destino che ha scelto, e nemmeno la vita può nulla. Esistiamo per non perderci è fatto di flashback, rimandi, ricordi, ma è un libro al futuro, da quando ho imparato il peso e il valore della speranza non l’ho più abbandonata: ecco, questo libro racconta una speranza concreta, certamente sofferta e per questo reale.
Di quale speranza parli?
Quella di imparare a non aver paura della verità. E poi a non vergognarsene più. Io sono cresciuto molto grazie a questo libro.
Come si impara a non aver paura della verità?
Andando a fondo, senza tapparsi il naso e con gli occhi ben aperti. Non si muore di verità, al massimo si soffre un po’. Riportarla a galla è come sforzare i muscoli, il dolore arriva l’indomani e sembra asfissiante e ingestibile, ma poi capisci che era necessario, che niente vale quanto diventare autentici. Con se stessi, innanzitutto, e poi con gli altri. «La verità ci libera», dice sempre una persona a me cara, e io oggi so che ha ragione. Esistiamo per non perderci, infatti, è rimasto nel cassetto per il tempo che mi è servito per fare pace con tutte le mie verità. Si può fare pace con la verità, adesso lo so, ma solo quando si smette di farle la guerra.
Chi sei oggi, dopo aver fatto pace con le tue verità?
Sono un uomo onesto, meno severo con me stesso e sempre attento a non mortificarmi soltanto perché non sono come mi volevo. Ho passato tanto tempo a volermi diverso, a cercare negli altri un giudizio cattivo, che in verità era il mio giudizio, la mia disapprovazione. Oggi sono felice di me e cerco di concentrarmi su quello che faccio, perché sia sempre in armonia con quel che sono e quel che voglio. Esistiamo per non perderci mi ha insegnato l’accettazione, che non significa rinuncia al miglioramento, ma avere uno sguardo meno giudicante e indisponente. Oggi non mi voglio diverso, ma soltanto felice.
E allora devo chiedertelo: sei felice?
Non proprio, ma lavoro ogni giorno per capire cosa mi faccia felice e cosa mi renda infelice.
Dimmi tre cose che ti rendono infelice.
La mia ipocondria, l’ansia che mi porta a voler tenere sempre tutto sotto controllo e un residuo di rabbia che mi trascino dietro dall’adolescenza. Quella è un’età difficile, soltanto di recente ho capito quanti danni mi abbia procurato.
Dimmi, adesso, tre cose che ti rendono felice.
Lavorare su me stesso, imparare a mollare la presa e sfogare la mia rabbia scrivendo. Oggi so che, quando lavori consapevolmente su te stesso, puoi sperare in una felicità autentica e duratura. Anzi, in una serenità autentica e duratura. La felicità è spesso legata alle cose, agli attimi, a certe dinamiche improvvise, la serenità è un lavoro.
Esistiamo per non perderci è una autopubblicazione. Coraggio o incoscienza?
Consapevolezza. L’ho tenuto nel cassetto per un po’, ho ricevuto qualche no, parecchie porte sono rimaste chiuse, qualcuna si è aperta ma non come speravo. La grande editoria scarta a prescindere uno scrittore giovane e sconosciuto, punta sui fenomeni. Io non sono un fenomeno, ma ho un sogno e lo rispetto. I miei genitori mi hanno lasciato libero di crederci sin da quando ero bambino, ho sempre fatto quello che sono, non mi tradirò adesso. Autoprodursi significa avere meno opportunità di farsi conoscere, ma quelli che arrivano a te lo fanno perché sono interessati davvero a sapere chi sei. Quindi va bene così.
Hai un sogno nel cassetto?
Ne ho tanti. Vorrei scrivere un libro sulle donne pop della canzone italiana, essere intervistato da Daria Bignardi, prendere un caffè con Maria De Filippi e mangiare una granita al limone con Carmen Consoli. Ah, vorrei conoscere Margaret Mazzantini. Vorrei comprare una casa sull’Aventino, riempirla di dischi e vinili e di tutti quegli utensili da cucina assolutamente inutili che continuo a collezionare. Ma si è mai visto uno scrittore squattrinato che compra una casa sull’Aventino? (ride, ndr)
Se è per questo, non si è mai visto nemmeno uno scrittore che mette nella stessa frase Maria De Filippi e Carmen Consoli…
È che io sono pop, sono proprio così nella vita: pensa che a casa mia ho un quadro delle Spice Girls e di fianco tutti i vinili di Luigi Tenco incorniciati.
Concludiamo così: cosa vorresti ti dicesse chi ha letto Esistiamo per non perderci?
Che si è emozionato, magari che ha pianto. Che, arrivato all’ultima pagina, ha sentito la mancanza di Barbara, Marcello, Eugenio e di tutti i protagonisti di questa storia. Che non ha nemmeno notato il fatto che ci siano due uomini che si amano, che ho parlato di un amore e basta, che il dolore che ho raccontato non è fine a se stesso. Ma, in fondo, quello che mi auguro è che si capisca che non combatto più la verità, solo questo conta.
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