Il miglior disco dell’anno, secondo i giudici del Premio Tenco, è un prodotto ideale sospeso tra la produzione coraggiosa e disturbante di Padania, degli Afterhours, e il disco di una band meno nota, “Come il suono dei passi sulla neve” di Zibba & Almalibre, poetico esempio di cantautorato.
Le due band vincono ex aequo la categoria principale e più attesa del premio, considerato un riconoscimento importante poiché la giuria è formata da circa 200 giornalisti del settore, esperti e conoscitori della musica.
Enzo Avitabile conquista, è proprio il caso di dirlo visto il numero dei voti, la targa per il miglior album in dialetto con “Black Tarantella”. L’altra targa attesa, quella per la miglior opera prima, è andata a Colapesce, per “Un meraviglioso declino”, primo album da solista di un musicista già attivo sulla scena da tempo.
La targa dedicata agli interpreti di canzoni non proprie è stata conferita a Francesco Baccini, per il suo “Baccini canta Tenco”, che già dal titolo pareva promettente per il premio.
Nessun vero emergente – anche perché emergere, in Italia, è uno dei mestieri più difficili – ma tutti premi dati ad egregi musicisti, siano essi sulla scena da “soli” dieci anni o siano considerati la miglior rock band del paese.
Tra i nomi dei finalisti tanti ottimi artisti, affini per gusto e produzione a coloro che hanno vinto, come Il Teatro degli Orrori, Edda, Dellera.
Come sempre, per ogni premio di qualsiasi ordine e grado, fioccano sui social network i commenti entusiasti dei sostenitori e le perplessità di alcuni detrattori. C’è chi non condivide il giudizio della giuria, chi si lancia nel trovare nomi alternativi e motivazioni più o meno condivisibili e chi si indigna per l’evidente manifestazione dell’ennesima conferma di un premio dato ai “soliti noti”.
Nello stesso giorno del premio Tenco, arriva anche la lista dei vincitori del premio P.I.M.I, le targhe date dal MEI per la musica indipendente. Il miglior gruppo dell’anno sono ancora gli Afterhours, mentre il Teatro degli Orrori vince per il miglior tour. Dunque, o questi ragazzi sono in grado di farsi ben volere dalla critica, oppure sono davvero in un momento particolare, dove i riconoscimenti per il loro lavoro arrivano a confermare una stagione di risultati importanti.
Gli Afterhours, in particolare, hanno scelto la strada dell’indipendenza dando vita ad un album completamente autoprodotto, Padania, che è un viaggio nell’inquietudine umana, dove parole che raccontano l’universale dramma della ricerca di senso, emergono da sonorità avvolgenti, cupe e calde, a volte, ma anche stridule e insistite, come il grido profondo e angosciante di chi urla allo specchio il proprio nome per ricordare l’importanza di essere vivo.
Padania è la consapevolezza del freddo interiore, del gelo dell’anima e della vacuità delle certezze del quotidiano, che da rassicurante finisce per diventare opprimente. Gli Afterhours , con le varie voci che compongono il loro sound così particolare, hanno creato un luogo emotivo, esplorando alcune delle pieghe malinconiche che l’anima assume nel percorso di vita.
L’intero album è un momento sospeso, una landa immobile, un clima, un lamento potente e intimo, che fa vibrare e commuove. E che viene riconosciuto come un’opera densa e meritevole dei più importanti premi.