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L’errore: non un ostacolo, ma un’opportunità di crescita

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“Errare humanum est”, questo afferma la saggezza latina. Siamo sicuri che oggi valga ancora così?

Riusciamo a giustificare un errore, nostro o altrui, riconoscendo che, come esseri umani, la perfezione non rientra nella nostra natura? Forse ora stiamo rispondendo tutti di sì: quando si passa dalla tolleranza teorica a quella applicata, però, il discorso cambia decisamente. E molto.

Ammettiamolo: spesso è proprio fastidioso dover riconoscere “ho sbagliato“, “ho provato, ma così non va bene“. Pensiamo a cosa accade se a non raggiungere la vetta dell’infallibilità sono gli altri; si tratta del collega “so tutto io”? Ecco finalmente l’occasione giusta per farlo scendere dal suo piedistallo!

E quando a sbagliare sono i bambini? Riusciamo ad esseri pazienti verso tutti i maldestri tentativi compiuti dai più piccoli per scrivere una pagina ordinata sul quaderno di scuola, senza errori di ortografia?

Siamo davvero convinti che commettere un errore sia un lusso da non concedersi e questo messaggio trasmettiamo ai nostri figli? È possibile porsi come obiettivo quello di “non sbagliare mai“?

È un traguardo impossibile da raggiungere, che per di più paralizza qualsiasi desiderio di buttarsi in una nuova avventura, in un’impresa ancora mai compiuta, per la paura di non riuscire a rendere al massimo, di non essere perfetti. Eppure, alcune grandi scoperte scientifiche sono state frutto di errori, o precedute da numerosi errori.

Pensiamo alla penicillina, ottenuta fortuitamente da Fleming nel corso di una ricerca per altri scopi, o alla scoperta dell’America, opera di un Colombo convinto di aver raggiunto le Indie. Ed il geniale Einstein? Sembra che circa 40 dei suoi 180 articoli contengano errori: la famosa foto con la lingua fuori sembra un invito chiaro, del grande scienziato, a prendersi un po’ meno sul serio.

Bisogna allora riscoprire il valore di una risposta sbagliatail potenziale fecondo che essa ha per il progresso della scienza“.

Così recita la locandina di “Détrompez-vous“, il Festival dell’errore di Parigi, svoltosi dal 21 al 24 luglio presso la sede dell’Ècole normale supérieure. Perché un evento così particolare? Per invitare i ragazzi a non aver paura di sperimentare, di procedere, proprio come avviene nell’applicazione del metodo scientifico, per prove ed errori. La possibilità di sbagliare è insita nello svolgersi stesso di un processo di apprendimento ed è proprio attraverso una serie di tentativi inesatti che si giunge spesso ad ottenere i risultati giusti, in qualsiasi campo.

Il festival parigino è stato organizzato dopo la pubblicazione di un rapporto dell’Ocse secondo il quale i ragazzi francesi in classe evitano di alzare la mano per rispondere ad una domanda, bloccati dalla paura di sbagliare. Ma

“correggere un ragazzo che capovolge un cestino della carta per usarlo come sedia – afferma Girolamo Ramunni, uno degli ideatori del festival e professore del Conservatoire national des arts et métiers – vuol dire sterilizzare la sua fantasia, costringerlo entro regole che si sono consolidate per pura e semplice pigrizia mentale. Troppo spesso l’insegnamento a scuola si limita alla ripetizione della “nozione esatta”. In tal modo però, si formano delle persone erudite, non colte; uomini e donne che si aggrappano alla correttezza di una definizione come Linus alla sua coperta e che mancano del coraggio di aprirsi al confronto, al dialogo, alla molteplicità dei pareri e delle opinioni. “Per scienza- tiene a precisare Ramunni – non intendiamo solo matematica e fisica, ma anche le discipline umanistiche. Pensiamo a quanta importanza abbia saper riconoscere i propri errori, riuscire ad ammetterlo con se stessi e con gli altri, il dire “mi sono sbagliato, devo cambiare strada”. Il dialogo, la discussione e il confronto sono i mattoni basilari della scienza, ma anche uno degli ingredienti imprescindibili del vivere in comune”.

Più tolleranza, allora, con noi stessi e con gli altri: concedersi la possibilità di sbagliare è una condizione essenziale per aprirsi totalmente al ventaglio della vita.

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