Riuscire a capire il disagio nascosto dietro quel frettoloso “bene grazie” pronunciato da una collega in risposta alla domanda “come stai?”.
Intuire che non è solo stanchezza fisica a velare di un’ombra grigia il volto di lui, appena tornato a casa dopo una giornata di lavoro. Offrire una spalla, fare una telefonata a chi, proprio in quel momento, ne aveva un bisogno enorme. Tutto questo, e molto di più, è l’empatia, caratteristica che richiede una sensibilità molto sviluppata, una capacità di entrare al cuore del vissuto di chi ci circonda con delicatezza, in punta di piedi.
Che si tratti di una qualità squisitamente femminile, è noto da sempre, ma ora questa certezza ha anche basi scientifiche, fornite da una ricerca condotta da un gruppo di studiosi dell’Università di Utrecht, in Olanda, in collaborazione con Simon Baron-Cohen, docente di psicopatologia dello sviluppo all’Università di Cambridge.
Secondo quanto è emerso dalla ricerca, infatti, sembra che responsabile dell’esistenza di un più o meno elevato livello di empatia sia il testosterone, ormone presente in misura maggiore nell’uomo. Il professore Cohen, in particolare, ha realizzato alcune pubblicazioni sulle basi biologiche delle differenze comportamentali tra maschi e femmine (la spiegazione scientifica, per intenderci, della provenienza di uomini e donne da “pianeti diversi“, realtà ben evidente nella comune esperienza quotidiana) e vanta un’ampia conoscenza del problema dell’autismo.
Gli studiosi hanno somministrato a 16 ragazze di età compresa tra i 20 e i 25 anni due diverse pillole, una a base di testosterone, l’altra senza alcun principio attivo, un placebo, dunque. Dopo ciascuna delle due somministrazioni, è stato chiesto alle giovani di osservare alcune fotografie raffiguranti volti e di riconoscere quale fosse lo stato d’animo delle persone presenti in foto.
È emerso che, dopo l’assunzione di testosterone, i tre quarti delle ragazze manifestavano una ridotta capacità di comprendere i sentimenti espressi dai diversi volti. Ciò spiega dunque, secondo gli studiosi, la correlazione diretta tra una maggiore concentrazione dell’ormone e lo sviluppo di una minore empatia. Ciò però non si è rivelato generalmente valido per tutte le donne: l’influenza del testosterone cioè, non era la medesima su ciascuna delle volontarie sottoposte all’esperimento.
La spiegazione si trova nell’analisi di un parametro che generalmente viene preso in esame per valutare il livello di testosterone nel feto e cioè il rapporto tra la lunghezza dell’indice e quella dell’anulare, che viene espressa attraverso la formula 2D:4D. Più il numero che esprime tale rapporto è basso, a seguito di una maggiore lunghezza dell’anulare, più la concentrazione di testosterone è alta nell’utero.
Jack van Honk, uno degli autori dello studio, che è ricercatore in psicologia sperimentale all’Università di Utrecht ritiene che tali risultati siano di notevole interesse, in quanto
“suggeriscono come i livelli di testosterone presenti ancor prima della nascita possano, in seguito, influenzare i suoi effetti sulla mente”.
Secondo Cohen, è proprio l’esposizione ad alti livelli di ormone androgeno ad influire sull’insorgenza di un grave disturbo neurologico come l’autismo. Tale patologia, che si manifesta attraverso evidenti difficoltà nel gestire le dinamiche relazionali e denota dunque una capacità empatica molto ridotta, è diffusa tra gli uomini in misura quattro volte superiore di quanto non lo sia tra le donne. La teoria di Cohen è ancora da confermare, ma può offrire interessanti spunti per la diagnosi ed il riconoscimento di questo disturbo.
Torniamo ai risultati dello studio, perché è necessario che li teniate ben presenti care amiche. Ora sapete perché, anche se a volte guardandovi allo specchio avete l’impressione di essere appena uscite da una lavatrice in centrifuga, il vostro uomo probabilmente non vi chiede nulla, non vi fa domande, non si preoccupa per voi: non vi sta ignorando, semplicemente non ha notato nulla. Ma abbiate pazienza, è tutta colpa del testosterone.