Che l’innamoramento offuscasse la mente l’ho sempre pensato.
Sì, insomma, vedere il proprio partner come un idolo, bello, alto, gentile e forte, mentre, in realtà, ha i rotoli di ciccia che traboccano dalla cinghia, è bassotto, rutta davanti alle partite di calcio e ha bisogno di voi per cambiare una lampadina… Bè, questo è amore.
Adesso ci arriva la conferma da uno studio condotto all’Università di Buffalo e pubblicato su Psychological Science. L’autrice, la dottoressa Sandra Murray, ha voluto indagare sui perché e i per come certi matrimoni funzionano.
E, al di là delle 7 regole che bisognerebbe seguire per fare in modo che il matrimonio sia felice, viene fuori che – semplice – perché la vita coniugale non vada in frantumi è sufficiente vedere solo i pregi del partner.
La studiosa americana ha preso in esame 193 coppie nel momento in cui si sono sposate e poi a intervalli di sei mesi nei primi tre anni di convivenza. I soggetti dovevano descrivere i propri partner con caratteristiche positive (gentile, divertente, comprensivo, caloroso) oppure negative (immaturo, pigro, critici, lunatico, distante). I ricercatori hanno creato così un identikit del compagno ideale. Poi, in un secondo momento, hanno misurato i benefici del rapporto in termini di autostima, attaccamento e nevrosi reciproche.
Dice la Murray: “Le persone sono molto brave a cambiare le loro definizioni in modo che corrispondano a come vogliono vedere se stessi o come vogliono vedere gli altri”. Il risultato è che coloro che idealizzano di più le virtù del partner vivono la vita di coppia con più soddisfazione e felicità.
E voi? Disposti a lasciarvi i prosciutti sugli occhi?
Germana Carillo