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Perché piangiamo? Il significato delle lacrime ad ogni età

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Quello acuto del neonato in culla e quello con il sorriso del genitore che guarda suo figlio; quello carico di dolore di chi soffre per un amore perduto e quello isterico di chi è troppo stanco; quello lamentoso del bambino che fa capricci e quello silenzioso dell’anziano solo.

L’atto è unico, sempre lo stesso, antico quanto la storia dell’uomo: il piangere. Eppure il pianto racchiude molteplici significati diversi. Soprattutto accompagna l’essere umano dalla nascita alla morte, adattandosi ad esprimere le più varie sfumature emotive.

In ogni fase della vita resta un fenomeno che connota una delle nostre reazioni possibili al vissuto che sperimentiamo. Il pianto ha molti significati: scuote, interroga, preoccupa, spinge all’azione. Di sicuro non lascia indifferenti.

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Perché piangiamo?

Intorno a questi interrogativi si sono sviluppati gli studi di Ad Vingerhoets, psicologo dell’Università di Tiburg, in Olanda, autore di “Why only humans weep” (Perché solo gli esseri umani piangono), un volume che prende in considerazione non soltanto gli aspetti psicologici, ma anche le scoperte scientifiche in materia del pianto e gli approfondimenti che su di esso sono stati compiuti in campo letterario ed artistico.

Le ricerche dello psicologo olandese sono state mosse dall’interesse nei confronti della “corrispondenza tra lo sviluppo filogenetico e ontogenetico dei tipi di lacrime, cioè il passaggio da quelle di dolore, comuni ad animali e bambini, a quelle di sofferenza psichica e morale, propriamente umane“, come chiarisce lo stesso Vinderhoets.

Marco Costa, psicologo dell’Università di Bologna, che ha compiuto anch’egli importanti studi sull’atto del piangere, sottolinea che “Il significato evoluzionistico del pianto è attirare l’attenzione e l’aiuto da parte di altri su una condizione di stress“. Il piangere è un’importante forma di consolidamento delle relazioni affettive, al punto che, precisa Vingerhoets, esistono le cosiddette lacrime “sentimentali o morali, scatenate dagli elementi che costituiscono la società stessa, ovvero l’empatia, l’altruismo e il senso di giustizia” favorendo in tal modo la “connettività sociale”.

Come evolve il pianto nel corso degli anni?

Naturalmente l’atto del piangere, che è unico, subisce trasformazioni nel corso della vita dell’individuo. Come chiarisce Costa “Il pianto dei bambini, caratterizzato da gemiti a una frequenza di circa uno al secondo, è assimilabile al “pianto da separazione“, come i pigolii dei pulcini in allarme e i gemiti dei cuccioli di cane abbandonati. Cambia nel corso della vita e la sua frequenza si riduce notevolmente.

Se i bambini piangono “sonoramente”, con forti gemiti per cause sia fisiche sia emozionali, per gli adulti si tratta, in genere, di emissioni silenziose di lacrime. Quasi esclusivamente per stress, specie in solitudine. Gli studi di Vinderhoets, per dichiarazione dello stesso autore, possono rivelarsi decisivi per “comprendere le interazioni tra cultura e biologia”. Di sicuro gettano luce su un atto, quello del piangere, che lungi dal dover essere nascosto o considerato segno di debolezza. Tocca la nostra sensibilità più profonda e rappresenta invece un modo di vivere in pienezza la nostra umanità, nella ricchezza delle sue componenti emozionali.

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