Quando ci troviamo ad un bivio ed è giunto il momento di prendere una decisione importante, la soluzione migliore consiste nel distrarsi per un po’, pensando a tutt’altro, oppure nel dormirci un po’su. La soluzione arriverà da sola. È quanto suggerito da un nuovo studio condotto da parte dei ricercatori statunitensi per quanto concerne la nostra capacità decisionale.
A parere degli esperti, non pensare per un po’al problema da risolvere o alla decisione da intraprendere, magari dedicandosi al riposo o distraendosi con attività rilassanti, gioverebbe alla capacità decisionale, facendo in modo che la soluzione al dilemma giunga in maniera spontanea.
Il momento di distrazione necessario per giungere ad una decisione potrebbe essere molto breve in alcuni casi. A parere degli esperti della Carnegie Mellon University, che si sono occupati di condurre il più recente studio in proposito, sarebbero confermate le indicazioni provenienti da ricerche precedenti, secondo cui sarebbero sufficienti due minuti di distrazione per poter prendere una decisione o giungere alla soluzione di un problema in maniera più lucida.
I ricercatori hanno osservato i processi cerebrali di 27 adulti, ai quali era stato richiesto di distrarsi attraverso compiti matematici, ad esempio memorizzando sequenze di numeri, prima di dedicarsi alla decisione da intraprendere. In questo modo gli esperti hanno potuto dimostrare come il cervello sia in grado di elaborare i dati relativi alla situazione decisionale anche nel momento in cui una parte di esso venga occupata da attività tese a generare distrazione.
Le aree del cervello dedicate ai processi decisionali, secondo quanto osservato da parte degli esperti, risultavano infatti attive anche nei momenti in cui i soggetti sottoposti all’esperimento si trovavano a compiere delle attività per distrarsi. I momenti di distrazione sarebbero dunque necessari per intraprendere decisioni migliori. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulle pagine della rivista scientifica Social Cognitive and Affective Neuroscience.
Marta Albè
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