Il punto G non esiste. La fatidica e da sempre chiacchierata zona erogena è stata messa in discussione da un team del King’s College di Londra, guidata dal ricercatore Andrea Burri, che considera il punto G “un’immaginazione delle donne, incoraggiata dai terapisti sessuali”.
Lo studio, pubblicato sul “Journal of Sexual Medicine” ha preso in esame 1800 gemelle, intervistandole sull’esistenza del loro punto G. Ebbene, sia che fossero monozigote che eterozigote, le donne non avevano alcuna somiglianza in relazione alla presenza del punto G. Dice Tim Spector, relizzatore dello studio e docente di Epidemiologia genetica: “Se in una gemella questo punto esiste esisterà allo stesso modo in sua sorella, identica e con lo stesso patrimonio genetico».
Conclusione: il punto G è una bufala. Tuttavia, sembra che nel febbario del 2008 la sua presenza fu certificara dal professor Emanuele Jannini, che lo immortalò con un’ecografia transvaginale. Lo stesso Jannini ha replicato alla presunta scoperta dell’assenza del punto G. Secondo Jannini, infatti, tale zona non ha solo una base anatomica ma anche funzionale, per cui, nel caso delle gemelle, a incidere è anche il vissuto, le esperienze sessuali. E afferma: “Molte donne non sanno neanche di averlo il punto G, semplicemente perché nel corso del tempo non hanno trovato la chiave per sperimentarlo”.
Ma Jannini non è stato di certo l’unico ad avere dei dubbi sulla validità della ricerca londinese. Anche la sessuologa Beverley Whipple, da sempre sostenitrice della causa del punto G, critica lo studio. Secondo la Whipple, i ricercatori avrebbero ignorato “le esperienze delle lesbiche o delle donne bisessuali”.
Francesca Mancuso