Una porta può cambiare il corso di una vita. Magari, attraversandola si comincia la scalata verso il successo e la felicità. O magari si commette l’errore più grande della propria esistenza e si finisce nel baratro della disperazione.
Una porta è un limite e come tale rappresenta tutto ciò che non riusciamo a lasciare o ciò da cui stiamo scappando. È il confine tra coraggio e paura. Varcare una soglia può essere l’inizio della più grande delle avventure. Ma è anche un gesto semplice, che compiano mille volte al giorno, senza nemmeno pensarci.
Eppure, è un gesto importante, tanto significativo da innescare un preciso fenomeno nel nostro cervello. Ogni volta che attraversiamo una porta, la nostra memoria si riorganizza, per adattarsi al nuovo ambiente e si dispone ad immagazzinare i dati che riceverà. Con un atto fulmineo, la nostra materia cerebrale si libera delle informazioni che descrivono l’ambiente precedente e si prepara per accogliere ciò che vedrà in seguito.
Quando vi capita di vedere una persona che entra in una stanza, si dirige con convinzione verso il tavolo, si ferma di colpo e comincia ad esitare, guardandosi intorno con aria smarrita perché non si ricorda assolutamente il motivo che lo ha spinto a muoversi, non squadratelo come se fosse un povero idiota. Se osservate il viso della persona in questione, noterete un’espressione stupita, perché dimenticarsi di ciò che si è appena deciso di fare, getta in uno stato di prostrazione.
LA RICERCA
Eppure capita a tutti ed è un fenomeno che lascia la spiacevole sensazione di essere stanchi, confusi o troppo distratti. Mentre la verità è finalmente stata spiegata da uno studio dell’Università di Notre Dame, nell’Indiana, pubblicata su The Quarterly Journal of Experimental Psychology.
La novità di questo studio, perché il fenomeno dell’amnesia da attraversamento di porta è già noto da tempo, è stato il fatto di riuscire a condurre l’esperimento non solo in ambienti virtuali, ma anche in stanze reali. Nella prima parte dell’esperimento, ai partecipanti veniva richiesto di muoversi in un ambiente virtuale e di raccogliere alcuni oggetti da un tavolo. Una volta presi, gli oggetti virtuali sparivano. Veniva posta la domanda su cosa fosse l’oggetto raccolto. Poi i volontari attraversavano una porta e la domanda veniva riposta.
L’esperimento era ripetuto in un ambiente reale. Alcune scatole occultavano gli oggetti raccolti. Nella terza parte dell’esperimento, i soggetti varcavano varie porte e poi ritornavano nella stanza iniziale.
I risultati hanno provato che, una volta passata la porta, il ricordo dell’oggetto raccolto svaniva come per magia nella maggior parte dei casi. Ma non era l’ambiente differente a provocare il blackout mnemonico, perché anche quando tornavano nella stanza dalla quale erano partiti, i soggetti non riuscivano a ricordare ciò che avevano preso.
La spiegazione scientifica, dunque, afferma che è proprio l’atto di attraversare una soglia che favorisce la ristrutturazione della nostra memoria. I dati meno significativi e più recenti, riguardo all’ambiente, vengono abbandonati, in una vera e propria “pulizia cerebrale“.
I piccoli blackout della nostra mente sono normali e non ci devono far temere stati confusionali o sovraccarichi lavorativi. Sono semplici prove dell’economia applicata dal nostro perfetto sistema fisico. Inoltre, la nostra mente è in grado di impartirci una grande lezione di vita. Le cose poco importanti, passate, vanno lasciate andare, perché solo se c’è dello spazio libero il nuovo può entrare e diventare parte di noi.
E se lo applicassimo con costanza anche al campo delle relazioni?
Fiammetta Scharf