C’è un freddo intenso, opprimente e monolitico, che riesce a paralizzare intere esistenze. Un veleno che ogni giorno corrode la vitalità interiore e condanna chi lo porta in sé ad un’inquietudine perpetua.
È il gelo di coloro che non si sentono amati, l’enorme cavità dell’anima di chi non è stato nutrito emotivamente durante l’infanzia. Una ferita che la paura spesso induce a trascurare e che il tempo – e l’incuria – tramutano in una condanna.
Chi è stato deprivato del calore amorevole dei genitori – non perché questi abbiano avuto intenzioni malvagie, ma spesso perché a loro volta soggetti denutriti – avverte in sé questa piaga, sia che si trovi solo, sia che viva relazioni o un matrimonio.
Ma, soprattutto, il non amato attende che un miracolo esterno, una persona particolare, un eroe, arrivi a sanare la sua malattia, restituendolo alla possibilità di una vita felice. Nell’attesa, i giorni si perdono in una collana di esperienze inefficaci, che non riescono mai ad appagare l’essere completamente, anche quando si tratta di eventi di grande positività.
Superato il momento bello, il tempo in cui si riesce a gioire e a stare sereni, lo stato d’animo di irrequietezza torna a reclamare il suo posto. La mancanza d’amore fa perdere sapidità a ciò che accade e per quanto, magari, un altro essere insista a dichiararci il suo trasporto affettivo, non si riesce a percepire il calore che l’amore vero produce in ogni uomo.
Visto che il corpo è la sede dell’emozioni, il luogo in cui esse accadono e si manifestano, è dal corpo che si prende distanza, avvilendolo con pratiche che ne minano la salute e il benessere. Si finisce per vivere in una continua anestesia, alimentata da dipendenze di ogni tipo: sostanze, persone, ma anche il riconoscimento o il successo e tutto ciò che consenta all’intelletto, acuto e sterile, di dominare razionalmente su qualsiasi aspetto dell’esistenza.
L’attesa reiterata porta alla frustrazione e alla rottura di situazioni di coppia, divenute insopportabili perché l’altro non riesce a soddisfare l’immenso bisogno del non amato.
Il problema è che nessun agente esterno potrà mai colmare il buco emotivo lasciato da certi comportamenti irreprensibili ma freddi, privi di comprensione e dolcezza, che vengono effettuati nei confronti dei più piccoli. Quei segni ci sfregiano il cuore, lasciandoci perennemente in cerca di qualcosa che non arriverà, perché quel bimbo trascurato è divenuto adulto e il suo bisogno non può essere soddisfatto da altri. Nessuno può essere il sostituto dei genitori e nessuno può tornare indietro nel tempo, a riparare il danno appena fatto.
C’è un unico modo di uscire dalla spirale del gelo. Imparare ad amarsi da soli, a darsi quelle cure essenziali e amorevoli che la vita ci ha tolto. Valutarsi per ciò che si è, senza esigere la perfezione e senza fare paragoni inutili.
Accettare il proprio corpo, con le sue mancanze e le sue eccedenze, entrando in contatto con le varie parti che ci formano. Accendere in sé il fuoco della passione e concedersi alla vita, perché questo è l’unico modo di sentire quel fuoco anche negli altri. Trattarsi bene, con rispetto, cercando di valorizzarsi per l’unicità che ognuno di noi esprime. Credere fermamente di essere indispensabili al mondo, così come tutti gli esseri lo sono. Prendersi del tempo per sentire la corrente di vita che ci scorre dentro, il respiro che ci sostiene e ci incoraggia alla gioia.
Quando, nutriti dall’interno, incontreremo qualcuno che sappia dirci “ti amo“, avremo orecchie per ascoltarlo e un posto speciale per accoglierlo. Accanto a noi, al nostro sorriso e al bimbo interiore, ora appagato.
Fiammetta Scharf