Ci sono dei giorni in cui l’ingiustizia del Cosmo è evidente. Quando ci alziamo dal letto con la consapevolezza che sì, noi magari non avremo fatto proprio tutto ciò che potevamo fare, ma la colpa del disastro che stiamo vivendo non è nostra ed il perché è lì, sotto agli occhi di tutti, così disperatamente chiaro, a ricordarci l’unica possibile lettura della realtà: ce l’hanno tutti con noi.
Ci guardiamo intorno e vediamo continuamente che gli altri sono più fortunati – e noi no, perché ci va sempre tutto male -. Che gli altri sono più ricchi – e noi invece dobbiamo fare i salti mortali per pagare la spesa imprevista -. Che tutti gli altri sono accoppiati felicemente – mentre noi siamo single e non riusciamo a pensare che qualcuno di degno ci amerà ancora e via così, per qualunque aspetto della nostra esistenza.
Allora ci rabbuiamo, ci intristiamo e indossiamo il bianco cappello di Calimero, entrando nei panni del piccolo pulcino che vaga per il mondo dicendo “sono piccolo e nero…”.
Se vivere alcune giornate di tristezza è un fatto naturale e fare il piccolo Calimero, ogni tanto, suscita anche tenerezza, reiterare i paragoni con il resto del mondo, finendo sempre per far vincere gli altri, è un comportamento nevrotico che conduce a depressione e auto-svalutazione.
Si vede il mondo come un “altro”, distinto da sé e si concepisce la realtà in modo eccessivamente semplicistico e privo di fondamenta razionali. È il modo di ragionare tipico del bambino, che è talmente egocentrico da pensare che tutto ciò che avviene sia in rapporto a lui. Quando vediamo l’autobus che se ne va pochi secondi prima che noi arriviamo, perché abbiamo perso dieci minuti a cercare di entrare nei jeans nuovi slim fit, talmente aderenti che se non fossero blu non li distingueremmo dalla pelle, è inutile pensare che la guidatrice dell’autobus –perché è evidente che si tratta di una femmina grassa e invidiosa del nostro ultimo acquisto– l’abbia fatto apposta. Non ce l’ha con noi.
Se il capo ci rammenta, con disappunto, che la consegna del lavoro che avevamo promesso dieci giorni fa non è ancora avvenuta, non è perché ha un brutto carattere e vuole limitare il nostro genio.
La tendenza a fare paragoni, nei quali risultiamo sempre perdenti, affonda le sue radici nella scarsa stima di sé. Se siamo sicuri delle nostre qualità interiori ed esteriori, gli avvenimenti poco piacevoli che accadono nella nostra vita saranno vissuti come piccoli fastidi, privi di una ricaduta importante e mai così determinanti sulla nostra giornata. Quando invece lasciamo alle cose il potere di devastarci l’umore, trasformandoci in pulcini neri, sì, ma per la rabbia, compiamo un grave errore.
Continuare a dirsi che gli altri sono qualcosa di meglio è un modo per evitare di assumersi la responsabilità della propria vita. Se ciò che viviamo quotidianamente è un incubo, spesso è perché non abbiamo il coraggio di cambiare il nostro percorso. Ci lamentiamo in continuazione ma non agiamo in nessun modo per modificare la situazione. Ma c’è un unico essere che può tirarci fuori dai guai: noi stessi.
Se, finalmente, dovesse coglierci una sanissima voglia di uscire dal pantano della jella, dovremmo considerare di mettere tutta la nostra volontà al servizio del miglioramento. Ci sono alcuni trucchi che possono aiutarci a mantenere la retta via.
Per prima cosa, evitare di ammorbare gli altri con il racconto dettagliato di tutte le nostre sfortune. Oltre a decimare il numero di amici (perché frequentare qualcuno che è sempre nella coltre della disperazione è impegnativo e stancante), questa pratica rinforza in noi la convinzione che la situazione sia proprio nera come la percepiamo e che l’Universo ci voglia del male. La prima regola, quindi, è tacere.
Poi, dovremmo cercare di valutare obiettivamente la realtà di chi ci sta intorno. Le coppie dalla vita perfetta? Spesso sono talmente immerse e paralizzate dalla routine che la loro quotidianità assomiglia a una scena del museo delle cere. I manager realizzati e pieni di soldi? Il più delle volte sono esseri umani così aridi e oberati di lavoro che l’unica compagnia di cui godono è quella che sanno procurarsi a caro prezzo. Le donne iper-organizzate, con una vita piena di impegni? Nascondono sotto la iperattività una totale mancanza di contatto empatico con gli altri esseri umani.
Infine, dovremmo cercare di raccogliere tutto ciò che ci capita, eventi poco felici compresi e farne una risorsa. Stare a contatto con il dolore non piace a nessuno, ma è l’unico modo di elaborare realmente ciò che di negativo ci accade. In fondo, se l’amore della nostra vita ci ha lasciato, è meglio soffrire una volta, in modo intenso, piuttosto che fingere che non sia avvenuto nulla e continuare a ricadere per anni in dinamiche autodistruttive.
Il tocco finale? Bruciate il cappello di Calimero. Prendete un mantra nuovo e più divertente, tipo “sono uno splendido cigno” e ripetetevi quello, più volte al dì.