Tutta la nostra vita si snoda attraverso l’appartenenza a gruppi: le compagnie di amici, i colleghi di lavoro, le squadre sportive, con cui partecipiamo a riunioni, party, eventi sportivi.
Ma se ciò ci rendesse, in un certo senso, più stupidi? Ebbene, secondo uno studio americano, i contesti di gruppo potrebbero influire realmente sull’espressione dell’intelligenza di chi vi fa parte, abbassando il QI. E soprattutto nelle donne.
I ricercatori del Virginia Tech Carilion Research Institute hanno studiato le dinamiche dei piccoli gruppi sociali, dalle giurie dei tribunali, alle sessioni di contrattazione collettiva, fino alle mini-comunità che si formano in ufficio o un cocktail party. Hanno così scoperto che l’espressione del QI può venire alterata dal contesto di socialità in cui ci si trova, soprattutto se si tratta di donne, e che le capacità cognitive delle persone più suscettibili risentono della percezione del proprio status sociale all’interno del gruppo.
“Si può scherzare su come le riunioni di lavoro possano far sperimentare a molti una sorte di ‘morte cerebrale’ – sottolinea Read Montague, che ha condotto lo studio, pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society B – ma i nostri risultati suggeriscono che queste situazioni possono davvero metterci nelle condizioni di spegnere il cervello“.
Vediamo come: gli studiosi hanno misurato il quoziente intellettivo di un gruppo di universitari e hanno usato la risonanza magnetica funzionale per capire come il loro cervello elaborasse le informazioni nei contesti sociali di gruppo. “In alcune persone più sensibili, specialmente donne – spiega Montague – abbiamo rilevato chiare difficoltà nello svolgere alcuni compiti. L’effetto sociale è evidente, perché l’espressione del quoziente intellettivo è diverso, e spesso peggiore, quando le persone si trovano in un piccolo gruppo“.
Il feedback sociale, quindi, aveva un effetto significativo: le persone che avevano un buona capacità di problem solving prese singolarmente, una volta collocate in piccoli gruppi in cui erano in competizione con gli altri, hanno mostrato una drammatica diminuzione delle proprie capacità, indipendentemente dall’etnia e dall’età, nei test.
“Gran parte della nostra società – aggiungono gli autori – è organizzata in piccoli gruppi. Capire come il nostro cervello risponde alle dinamiche di queste interazioni sociali è un’importante area di ricerca futura. Dobbiamo ricordare, infatti, questa influenza sociale può non riguardare solo gli ambienti educativi, di svago e di lavoro, ma anche, ad esempio, organismi politici nazionali e internazionali“.
Roberta Ragni