shopping domenica

Fare shopping di domenica ci rende infelici

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Per fortuna domenica il negozio è aperto, così finalmente riuscirò a fare shopping e comprare quelle scarpe che ho visto l’altro giorno“. Una frase molto comune oggi, che avremo sentito ed anche detto, diverse volte, variando forse l’oggetto da acquistare.

Che siano scarpe, vestiti, profumi, accessori per la casa o cibo poco importa: ciò che conta è che lo shopping sempre più frequentemente, viene fatto di domenica. È vero che i negozi ora sono aperti anche nei giorni festivi, ma qual è il motivo che spinge a fare shopping nel nostro giorno di riposo? Come stiamo dopo un’intensa domenica in cui abbiamo fatto sì una lunga passeggiata, ma tra una vetrina e l’altra del centro commerciale? Siamo più tristi, almeno noi donne.

Ebbene sì, è il risultato di uno studio condotto dai ricercatori della DePaul University di Chicago e della Ben-Gurion University del Negev. Sì, dedicarci allo shopping proprio di domenica alla fine ci fa sentire più vuote, invece di sollevarci l’umore.

Gli studiosi hanno riscontrato che trascorrere il giorno festivo facendo spese è all’origine dell’abbassamento del livello di felicità delle donne. In particolare di quelle che prima andavano in Chiesa. Per gli uomini, invece, non sembrano esserci conseguenze.

Cosa significa tutto questo? Che forse dovremmo avere il coraggio di guardarci dentro e di capire cosa ci spinge ad avere bisogno di comprare quel paio di scarpe proprio di domenica.

Non vogliamo condannare la spesa in sé, né drammatizzare le situazioni. Spesso però il desiderio irrefrenabile di acquistare un oggetto, e di farlo nel giorno tradizionalmente riservato alla famiglia, alle passeggiate, al riposo, nasconde un disagio da superare, un vuoto da colmare.

Non a caso il Professor Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica all’Alma Mater Studiorum di Bologna, paragona questa necessità urgente di fare spese, che è una vera e propria patologia, definita shopping compulsivo, alla bulimia.

Come spiega il Professor Pani:

“Chi soffre di shopping compulsivo trascorre intere giornate a girovagare per negozi, a navigare in internet per cercare l’oggetto del desiderio. Questo processo determina l’innalzamento di alcune sostanze come l’adrenalina e le endorfine che hanno sul soggetto un effetto paragonabile a quello delle sostanze eccitanti”.

Un oggetto, dunque, come il cibo, viene considerato come ciò di cui abbiamo assoluto bisogno in quel momento, ciò che ci farà stare bene. Immancabilmente, però, non avviene così.

Dopo l’acquisto ci si sente vuoti come e più di prima. In più, si fa strada il senso di colpa per aver ecceduto, spendendo troppi soldi. La stessa lacerante sensazione di aver esagerato, superato il limite, senza migliorare la propria situazione, anzi, aggravandola notevolmente, accompagna la persona bulimica dopo ogni appuntamento con il cibo. Certi vuoti non si riempiono con oggetti, che si tratti di un cellulare o di una fetta di torta.

I primi sintomi di shopping compulsivo, secondo il Professor Pani, si presentano molto presto, durante l’adolescenza. Raggiungono poi la piena manifestazione intorno ai 30 anni nelle donne ed ai 40-45 negli uomini. Sì, perché questa patologia coinvolge anche l’universo maschile, seppure in misura inferiore rispetto a quello femminile, proprio come i disturbi alimentari. Il 30-35% degli uomini è interessato dal problema.

La sensazione di disagio, l’aumento della tristezza si accrescono di domenica perché:

“chi si dedica allo shopping festivo – spiega Pani – spesso lo fa per compensare altri vuoti. Nel giorno degli affetti, in cui spesso si mangia insieme in famiglia e con gli amici, le persone sole che magari sono anche un po’ depresse cercano una via di fuga e la trovano nei grandi centri commerciali in cui poter riempire i vuoti affettivi con un nuovo acquisto”.

Nessun oggetto saprà regalare però quel senso interiore di pienezza che dà sostanza alla vita. Allora forse vale la pena di provare a rompere il muro che separa dagli altri, cercando di ampliare le conoscenze, per potersi aprire un po’ per volta a quei volti, quelle conversazioni, quegli abbracci che possono realmente colmare vuoti e solitudini.

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