Vi siete mai chiesti che cosa è realmente importante nell’amicizia? Potete anche smetterla di formulare ipotesi: il mistero è stato svelato dai ricercatori dell’Università di Harvard.
Gli studiosi sono infatti riusciti a fotografare cosa accade nel cervello quando si pensa a un amico. I ricercatori hanno scansionato, tramite la risonanza magnetica funzionale, il cervello di 98 ragazzi tra i 18 e i 23 anni, impegnati a mettersi nei panni di un’altra persona e indovinarne le risposte per una serie di domande. Tra loro sia degli amici, alcuni considerati simili altri diversi, sia dei perfetti sconosciuti (di cui erano state fornite biografie e foto).
Sorprendentemente, in tutti gli esperimenti a guidare la risposta celebrale è stata la familiarità e non la somiglianza in fatto di trascorsi e comportamenti.
Ad attivare la mente, insomma, non è tanto la somiglianza in fatto di gusti e interessi, quanto piuttosto l’aver condiviso esperienze in passato, belle o brutte che siano, commenta Fenna Krienen, coordinatrice della ricerca, “Al di là della durata del rapporto e di quanto spesso si frequenti l’amico, la mente entra più rapidamente in empatia con la persona cara, mostrando un pattern di attivazione simile a quello che si osserva nelle decisioni personali“.
Sono più di vent’anni che i neurologi studiano quali sono le parti del cervello dedicate all’interpretazione degli altri e ai comportamenti relazionali. Finora si è visto che nell’uomo, come anche nei primati e nei roditori, la zona più coinvolta nell’elaborazione degli atteggiamenti sociali è quella della corteccia mediale anteriore. Danni in questa parte del cervello, infatti, sono di solito associati a difficoltà nel comprendere le regole di base dell’interazione sociale.
I risultati dello studio pubblicati sul Journal of Neuroscience proverebbero la presenza di una “scala di valori neuronali”, cioè in presenza di una relazione già costruita i neuroni, si attiverebbero più di quanto non avvenga al cospetto di uno sconosciuto.
Una delle caratteristiche pressoché uniche dell’uomo è la sua capacità di costruire e mantenere relazioni che vadano oltre la semplice perpetuazione della specie. Afferma la dottoressa Krienen “Dal nostro studio emerge chiaramente come la vicinanza sociale, o familiarità, si sia sviluppata nel cervello lungo circuiti di prima classe e sia il fattore principale di cui la mente si serve per interpretare gli altri“. Secondo gli studiosi di Harvard, la nostra mente riserva agli amici un trattamento speciale. Questo privilegio può essere stato accordato agli amici solo grazie all’evoluzione e al vantaggio selettivo della socialità. La tecnica di imaging ha permesso un altro passo in avanti: “Per la prima volta siamo riusciti a fotografare questo meccanismo: abbiamo visto cosa accade ai nostri neuroni quando pensiamo a un amico“, aggiunge la Krienen.
La ricerca americana afferma l’importanza che la mentalità sociale ricopre nel cervello umano, un atteggiamento involontario che ci dispone a comprendere meglio gli individui per cui proviamo una qualche forma di affetto. Sembrerebbe che la presenza di elementi in comune potrebbe non essere necessaria. Come ha mostrato uno studio del MIT di Boston, pubblicato su Science, quando diverse persone si uniscono per risolvere dei problemi si sviluppa un’intelligenza superiore, una sorta di super-mente sociale. Per funzionare al top questo super-cervello non ha tanto bisogno che tra gli individui ci siano diversi tratti in comune, quanto piuttosto che nel gruppo regni un’elevata “sensibilità sociale”.
Insomma, l’unione fa la forza. È forse questo il segreto che ha permesso al genere umano di evolversi a tal punto ed è forse per questo che l’amicizia continua ad avere tanta importanza nella nostra vita.
Manuela Marino