Un comune farmaco utilizzato come supporto terapeutico farmacologico per il trattamento a lungo termine dell’ipertensione rivela un insolito effetto collaterale: può aiutare a diventare meno razzisti.
È quanto suggerisce un nuovo studio sperimentale della psicologa Sylvia Terbeck, della Oxford University, pubblicato sulla rivista Psychopharmacology.
A prender parte allo studio due gruppi di 18 partecipanti, tutti di razza bianca. Ogni volontario è stato sottoposto a un Implicit Association Test (IAT), uno strumento sviluppato da Tony Greenwald per studiare la forza dei legami associativi tra concetti rappresentati in memoria, sul razzismo, solo una volta trascorse due ore dall’assunzione di un placebo o del propranololo, un principio attivo betabloccante non selettivo, di indicazione specifica contro l’ipertensione e le forme di angina. I ricercatori hanno così scoperto che i volontari trattati con placebo impiegavano molto più tempo nell’ associare un volto di un uomo dalla pelle nera con una parola positiva, mentre collegavano subito una faccia bianca ad aggettivi benevoli.
Questo risultato è stato preso come prova della presenza di un razzismo a livello inconscio. Ma l’intervallo di tempo scompariva magicamente nel gruppo che aveva preso il beta-bloccante, che otteneva punteggi più bassi nel test psicologico sugli impliciti atteggiamenti razzisti. Gli scienziati ritengono che la scoperta confermerebbe il fatto che il razzismo è fondamentalmente fondato sulla paura, visto che il propranololo agisce sia sui circuiti nervosi che governano le funzioni automatiche come la frequenza cardiaca che sull’area del cervello responsabile della paura e dell’emotività. Proprio per questo il farmaco è usato anche per trattare l’ansia e il panico.
“Abbiamo voluto studiare la neurobiologia del pregiudizio-spiegano gli scienziati- e i nostri risultati offrono nuove prove sui processi del cervello che determinano i pregiudizi razziali impliciti, che possono verificarsi inconsciamente anche nelle persone che credono fermamente nell’uguaglianza. Dato il ruolo fondamentale degli atteggiamenti razzisti impliciti nella discriminazione contro altri gruppi etnici e l’uso diffuso di propranololo per scopi medici, riteniamo che i nostri risultati possano essere di notevole interesse dal punto di vista etico“. Tutt’altra cosa, specificano infine gli esperti di Oxford, l’atteggiamento razzista esplicito.
Ora questi risultati dovranno essere valutati con estrema cautela. Ma se un giorno gli atteggiamenti razziali inconsci potessero essere davvero attenuati grazie a un farmaco? Di certo questa possibilità richiederebbe un’attenta analisi etica, come spiega il dottor Chris Chambers, dell’università di Cardiff, che suggerisce di considerare il lato oscuro della ricerca biologica che mira a rendere le persone moralmente migliori: “il propanololo – spiega Chambers – non nasce come una pillola per curare il razzismo. Dobbiamo studiare meglio gli effetti di questo farmaco, visto che è in grado di alterare i sistemi del cervello delle persone“.
Roberta Ragni