Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di non ritrovare il telefonino nel luogo in cui lo si era lasciato. Sia che l’abbiate perso per distrazione, sia che vi sia stato rubato, è probabile che vi siate sentiti in preda allo sconforto per la perdita di un oggetto diventato ormai indispensabile per noi occidentali.
Il cellulare è ormai diventato per la maggior parte di noi quasi un’estensione del nostro corpo. Lo portiamo con noi ovunque ed è il nostro strumento preferito per comunicare, ma non solo. Il telefonino, con l’avanzare della tecnologia, si è trasformato in un oggetto tuttofare. Grazie ad esso possiamo scattare fotografie, ascoltare musica, annotare gli appuntamenti sulla nostra agenda virtuale, stilare liste delle cose da fare o da acquistare, girare dei video, tenerci informati sulle ultime news tramite internet, giocare e molto altro ancora.
Insomma, il telefonino racchiude ormai una parte del nostro universo e, quando lo perdiamo, temiamo che chi lo troverà possa profanare la nostra privacy, andandone a spiare il contenuto. Immagini, dati importanti, filmati: nessuno vorrebbe che finissero nelle mani di un estraneo. Per non parlare poi della perdita di tutti i numeri di telefono, che non sempre è possibile recuperare.
Alcuni studiosi dell’Università del Kansas si sono occupati di analizzare il nostro rapporto con il telefonino. Dalle loro ricerche è emerso che la nostra relazione con il cellulare è quasi di tipo amoroso, in particolare se siamo molto giovani e lo utilizziamo spesso nei momenti di divertimento con gli amici, ad esempio per mostrare loro l’ultimo gioco o l’ultima applicazione scaricata.
Di certo amiamo i cellulari perché ci semplificano la vita, ma anche perché ci fanno compagnia, dandoci la possibilità di comunicare con i nostri amici in qualunque luogo ed in qualsiasi momento. In alcuni casi lo sconforto provato per lo smarrimento del telefonino può essere paragonato a quello per la perdita di un animale domestico, per il senso di vuoto provocato dalla scomparsa di qualcosa a cui avevamo ormai fatto l’abitudine.
Marta Albè