Inconsciamente, i pensieri riguardo la morte rendono le persone più divertenti, tanto da indurle a battute ironiche. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista HUMOR, nella quale si spiega come i ricercatori abbiano scoperto che il dolore induca ad un umorismo schietto, mentre se ci si concentra consapevolmente sulla morte, al contrario, tale humour non emerge affatto.
Lo studio ha preso in considerazione 117 studenti e li ha divisi in quattro gruppi. A due di questi sono state esposte le parole “morte” e “dolore” in 33 millisecondi sullo schermo di un computer, proprio mentre stavano lavorando su altri compiti. A seguito di questi flash, gli studenti dei due gruppi hanno scritto didascalie per i cartoni animati del New Yorker.
Una giuria indipendente, che nulla sapeva riguardo l’esperimento, ha votato per le didascalie nate inconsciamente dai pensieri sulla morte, seguiti dai lampeggiamenti sui monitor delle parole. L’efficacia dei messaggi subliminali è ancora in fase di studio, ma questa è un’ulteriore prova del fatto che siamo in grado di dimostrare l’impatto di qualcosa, senza esserne a conoscenza.
Agli altri due gruppi, invece, era stato assegnato un compito di scrittura che riguardasse la propria inevitabile fine o un viaggio particolarmente doloroso dal dentista. L’esito di quanti hanno rimuginato sulla propria morte non era indubbiamente più divertente; anzi, era aperta la possibilità che andare dal dentista fosse molto divertente. Che sia questa l’origine dell’umorismo britannico?
Christopher Long, professore di Psicologia presso la Ouachita Baptist University e autore dello studio, ha dichiarato che c’è ancora molto da esplorare nella differenza tra l’umorismo innescato dal pensiero della morte sia a livello cosciente che incosciente e, soprattutto, perché uno renda più divertente rispetto all’altro. “La nostra ipotesi è che ci sia una origine di ansia nella persona che sta vivendo e il modo in cui questa la vive, il che influenza la sua capacità di essere divertente in quel dato momento“, ha spiegato Long. “Può accadere che il pensiero sulla propria morte si confronti con una persona, con una specie più palese di disagio“.
Lo studio ha collegato la spinta all’umorismo alla teoria della gestione del terrore, in cui si afferma che gli esseri umani sono destinati ad essere consapevoli della finitezza della propria vita, creando così una cultura della distrazione e di concedere alle brevi vite un valido significato. Si evidenzia anche il ruolo dell’umorismo come rivelatore di stress nei momenti di difficoltà e di traumi. Tuttavia la ricerca ha ancora molto da chiarire.
Federica Vitale
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